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marzo 31, 2012

Giappone: la natura e l'anima delle cose.

Ogni cultura ha qualcosa da insegnare alle altre e in particolare modo, secondo me, quella giapponese può aiutare noi europei a recuperare un rapporto con la natura che per molti sta diventando sempre più alieno e distorto. Noi la stiamo sempre più escludendo dalla nostra vita.
Un primo carattere dell'arte giapponese, è quello della ricerca di una schiettezza che veli o nasconda ogni senso d'artificio.

L'uomo giapponese non si contrappone alla natura, non vuole correggerla né modificarla; alla natura non comanda, ubbidisce; fa talmente parte del mondo e si sente così unito con l'inconsapevole fluire delle cose, che non ardisce separarsi da quell'organismo alla cui vita invece vuole aderire con passiva appartenenza.

Compito dell'arte non è dunque, in Giappone, architettare nuovi mondi, ove l'uomo rivaleggi col Creatore nell'immaginare arcane combinazioni di forme nuove. Il giapponese è soprattutto "natura"... ecco perché adatta la sua vita e la sua arte al ritmo delle stagioni; la primavera fiorisce anche nelle sue vene, ed i rigori dell'inverno che ammantano i villaggi di nevosi silenzi, contristano il suo spirito dello stesso rassegnato illanguidimento delle cose: è il momento del "sabi e wabi": solitudine triste e rassegnata che si prova solamente in Giappone.


Zelkove (in perfetto stile hokidachi, a scopa rovesciata)

La casa classica giapponese è lo specchio della natura; le pitture (kakejuku) si avvicendano, a seconda dei mesi, nel "Tokonoma", piccola alcova in cui è inserito come drappo una poesia o pittura relativa alla stagione che si sta vivendo, e così pure i bonsai nel "tokonoma". Anche le vesti imitano i disegni e i colori che il corso dell'anno traccia sulla terra. Nella casa giapponese alita il respiro del mondo. Non è come la nostra casa che isola l'uomo e lo circoscrive come in una fredda astrazione ove l'uomo trionfa, ma tace la natura; trova se stesso, ma non gli giunge l'anima delle cose.

A noi occidentali la natura appare come un vasto regno meraviglioso, da ammirare, ma del quale ormai, incedendovi noi da signori e padroni, non esiste più ombra di mistero. In esso tutto è chiaro, ridotto a leggi precise e fisse che svelandone l'intimo moto ce ne danno il possesso. I giapponesi, invece, trascinati da un arrendevole abbandono dalle sue vicende, amano sprofondarsi in questa natura.

Con affettuosa sensibilità partecipano al travaglio della vita cosmica, a quell'avvicendarsi di luci, colori, languori e fremiti che noi chiamiamo ritmo delle stagioni. L'uomo non subisce le stagioni difendendosene, sfuggendovi o adattandovisi, ma ne sente in se stesso germinare il misterioso processo. Se fa caldo noi ci rifugiamo in luoghi alpestri; se fa freddo corriamo dove la temperatura è mite. Il nostro insomma è un evadere le leggi del mondo. Il giapponese non protegge la casa dal rigore invernale o dall'afa estiva: vuole partecipare ai brividi della natura, ai suoi languori e alle sue febbri.

Con pareti sottili di legno, la casa classica giapponese, senza vetri, è un tetto più che un riparo. L'interno poi ci colpisce per la sua povertà nuda che è sfarzo. Una certa parvenza di sfoggio si può eventualmente trovare soltanto nel "tokonoma", quadro magico evocatore della stagione che a volte mostra un ramo di ciliegio in fiore, un crisantemo, oppure un ramo invernale la cui nudità un qualche uccello smarrito riscalda. Ci sono poi, i "bonsai".

Esemplari in miniatura che riproducono i contorcimenti e le nodosità delle piante millenarie sulle quali si sono provate le tempeste e i venti. E' così che il "tokonoma" intorno a cui si svolge la vita domestica, diventa una proiezione del mondo, sulla quale ruotano le vicende del tempo. Così l'uomo, pur nello stretto spazio della casa, partecipa al ciclo delle stagioni, ne avverte il ritmo.

Si racconta che nel mezzo dell'inverno, un signore di Yamashima si recò improvvisamente nella sua villa: c'era tanta neve per terra. Scese da cavallo e bussò alla porta del giardino, e già si spazientiva per l'attesa insolentemente lunga, quando, ansimante e correndo lungo la siepe che cingeva la villa, spuntò il domestico, il quale ai rimbrotti si scusò di quel ritardo: aveva fatto un gran giro perché le sue orme non affondassero nel verginale biancore della neve e il padrone potesse goderne la serenità immacolata. Una poetessa giapponese del X sec. ha scritto:

Se l'uomo che attendo
adesso venisse come mi piacerebbe
che la neve del giardino
fosse calpestata!
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A proposito dell'autore: Fausto Baccino

Un bonsai non è semplicemente una pianta. È una filosofia, un simbolo d’armonica condivisione con la natura. È un essere vivente sul quale vanno riversate tante attenzioni. Alcuni ritengono che per curarne uno sia necessario essere sereni con se stessi, in armonia con la natura.

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