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aprile 16, 2009

Sostanze di crescita nelle incisioni d'innesto

L'uso sperimentale sui tagli di chinetine ha dimostrato, una relazione precisa tra la quantità di callo cicatriziale prodotto e questa sostanza.

La chinetina assommata ad acido abscissico ed auxina, indubbiamente facilita la formazione del callo e la saldatura dell'innesto.
Nelle operazioni d'innesto va rispettata la polarità delle marze.

Gli innesti attecchiscono sempre se sono innesti autoclonali. Di norma varietà diverse della stessa specie, hanno buone possibilità d’attecchimento innesti intervarietali.

Innesti di specie diverse dello stesso genere, innesti interspecifici, non sono facilmente prevedibili. In questo coso occorre attenersi ad innesti consolidati dalla pratica agronomica. Remote sono le possibilità degli innesti intergenerici.

Le tecniche d’innesto conosciute sono essenzialmente due, la tecnica a marza e la tecnica a gemma.
A) - Tecnica a marza.
Si articola nei seguenti metodi:
A1) - Innesto all'inglese od a doppio spacco.
A2) - " a linguetta.
A3) - " a spacco naturale. {Inglese laterale, a penna laterale, laterale maiorchina
A4) - " a spacco.
A5) - " a triangolo.
A6) - " a corona.
A7) - " per approssimazione. {Semplice, a doppio spacco, ad intarsio
A8) - " di ringiovanimento.
A9) - " a ponte.
Tutti questi innesti possono poi essere attuati sulle radici, sul colletto, sul fusto.
B) - Tecnica a gemma .
Si articola nei seguenti metodi:
B1) - Innesto a gemma. {A T, a T invertito, a pezzo, a zufolo, ad anello, alla maiorchina
Tra tutti i metodi citati, nella tecnica bonsaistica si usano soprattutto:
Della prima tecnica, l'innesto a spacco, l'innesto laterale, l'innesto per approssimazione, l'innesto a corona.
Della seconda tecnica, l'innesto a gemma a T, l'innesto a pezzo.
Secondo il nesto usato, (si chiama " nesto " il materiale da impiantare sul soggetto), gli innesti si
possono poi ancora classificare come:

Innesto di ramo, innesto di germoglio, innesto di radice.

Analizziamo nel dettaglio questi metodi.

Tecnica a marza.
Metodo a doppio spacco.
Si usa per innestare materiale piuttosto sottile da 0,5 ad 1 cm. E' un metodo che ha molte possibilità di successo e presenta unioni forti e velocità di saldatura, si esegue su marze e soggetti dello stesso diametro. Può essere usata per abbassare piante che a fronte di una parte apicale ben formata, presentano un'eccessiva altezza ed un tronco cilindrico (scarsa conicità).

La difficoltà d’applicazione del metodo sta nella difficoltà di praticare i tagli sulla marza e sul soggetto in modo che siano esattamente ugua li, le superfici dei tagli devono essere perfettamente liscia, occorre quindi operare con coltelli affilatissimi.

Sui diametri indicati i tagli devono avere una lunghezza che vari da 2 a 4 cm. Si fa un primo taglio su entrambe le parti da innestare, poi sulle superfici attenute si esegue un secondo taglio in senso opposto al primo. Questo sarà situato a circa un terzo della lunghezza del precedente dal vertice di questo, e sarà lungo circa la metà del primo, e condotto a questo il più parallelo possibile. Le due parti dell'innesto vanno poi infilate l'una nell'altra incastrando le due linguette ricavate con il primo taglio.

E' importante che lo strato cambiale della marza e del soggetto combacino tra loro per il maggior sviluppo perimetrico possibile. Nel caso i diametri sono eguali, e le sezioni praticate sono della stessa lunghezza, le zone cambiali combaceranno per il loro intero perimetro. Le due parti dell'innesto unite dovranno poi essere assicurate con una legatura di rafia o cotone su tutta quanta la superficie del taglio, quindi questa sarà impermeabilizzata con cera o mastice da innesto.

La ceratura può essere evitata se i tagli sono protetti dall'essiccamento ponendoli nella sabbia, proteggendoli con torba umida, usando nastri adesivi impermeabili o strisce di teflon. Le legature strette eviteranno un ec cessiva formazione di callo cicatriziale riducendo l'inesteticità delle saldature. Occorrerà però tenere controllate le legature per evitare che un eccessivo ostacolo allo sviluppo, produca altrettanto antiestetiche strozzature sul tronco del nostro araki.

Metodo a spacco semplice.
Questa è una delle procedure più antiche e più usate nella propagazione agricola, mentre nella tecnica bonsaistica da risultati abbastanza scadenti sotto il profilo estetico. E’ usato per effettuare innesti di punta sulle conifere ( ten-tsugi ) o per ottenere tronchi multipli da uno stesso ceppo (tsukami-yose).

Si applica su alberi a nervatura verticale e distesa. Il periodo per applicare questa tecnica sulle conifere è la fine dell'inverno, quando la pianta è ancora a riposo, la possibilità d’attecchimento aumentano quando si pratica in primavera. Nel momento in cui le gemme del soggetto cominciano ad ingrossarsi, ma prima che inizi l'attività vegetativa.

La corteccia per garantire l'attecchimento dell'innesto non deve "dare la buccia".

Le marze devono essere costituite da legno di un anno in riposo, a volte occorre conservarle in
ambiente refrigerato fino al momento dell'impiego.

Tecnicamente l'innesto si fa operando uno spacco radiale o tangenziale sul soggetto; nello spacco vanno poi inserite una o due marze, previa separazione dei lembi di questo con un oggetto divaricante (esempio un cacciavite). Le marze vanno preparate a cuneo lungo ed affusolato verso l'estremità e con la parte esterna più larga del lato interno. La tensione dello spacco del porta innesto presserà le marze al suo interno. La pressione sufficiente a garantire un adeguato contatto tra le zone cambiali delle due parti dell'innesto.

L'innesto andrà in ogni modo legato e paraffinato nel modo già citato pri ma.

Metodo ad innesto laterale.
Si differenzia in tre varianti:
1) - Innesto a penna laterale.
2) - " inglese laterale.
3) - " intarsio laterale od alla maiorchina.

La prima variante è usata per l'innesto di base delle conifere, (moto - tsugi), è applicata su materiale compreso tra i 3 - 8 cm. di diametro. Si opera un incisione alla base del portainnesto con un angolo di 20° - 30° rispetto all'asse di questo, l'incisione dovrà essere profondo non meno di 3 cm. In questa situazione agendo sulla parte alta del soggetto con una flessione, il taglio si apre leggermente, richiudendosi al cessare della flessione. La marza è normalmente un apice lungo circa 8 - 10 cm. con 2 - 3 gemme nella sua parte basale.

Occorre praticare un taglio molto liscio di circa due cm. di lunghezza, così preparata dovrà essere inserita nel soggetto con un angolo che consentirà la massima sovrapposizione delle zone cambiali delle due parti dell'innesto. Si può evitare la legatura delle parti, mentre occorre para ffinare il punto d’innesto.

La seconda variante è usata per innestare piante sempre verdi da appartamento a foglia larga, perciò la sua descrizione sarà tralasciata.

La terza variante è particolarmente usata sulle aghifoglie coltivate in vaso, essa ha inoltre il pregio d’essere molto semplice nell’esecuzione.

Si prepara il portainnesto operando un taglio superficiale verso il basso lungo da 2 a 4 cm.
interrompendolo appena sopra il colletto. Alla base di questo taglio n’ operato un secondo rivolto verso il centro del soggetto, questo deve essere rivolto leggermente verso il basso fino ad incontrare il primo. La marza poi dovrà presentare in lunghezza e larghezza gli stessi tagli del soggetto.

Dopo essere inserita nel portainnesto occorrerà fare la lega tura delle parti e quindi paraffinare il tutto. Le piante preparate con questa tecnica sono mantenute sotto "mist " per alcune settimane, dopo l'unione, il soggetto che sporge sopra il gentile può essere rimosso gradualmente od in una sola volta, in casi di ricostruzione può anche essere mantenuto in sito.

Metodo d’innesto per approssimazione.

E' il metodo più utile nella tecnica bonsaistica, ed è anche quella che garantisce i migliori risultati
d’attecchimento. Caratteristica di quest’innesto è che esso prevede l'unione di due piante indipendenti ed autonome, anche se per estensione questo tipo di tecnica si può estendere anche a due parti dello stesso albero connesse entrambe alla radice. A saldatura avvenuta occorrerà recidere la chioma del soggetto e la base del gentile. Talvolta è necessario eseguire queste asportazioni gradualmente anziché in un sol colpo.

Questo metodo permette di ottenere ottimi risultati d’attecchimento anche con specie difficili da
innestare con altre metodologie, esso è usato comunemente tra piante coltivate entrambe in vaso, si applica a vegetazione in corso, quindi nel periodo primaverile - estivo.

Esistono di questo metodo tre varianti:
1) - innesto per approssimazione semplice.
2) - " " " a doppio spacco.
3) - " " " ad intarsio.
Analizziamo nel dettaglio queste varianti:
Approssimazione semplice.
Si fa operando, sulle due piante da innestare, due tagli con cui si asportano corteccia ed una sottile
sezione di legno per due o tre centimetri di lunghezza. I tagli lisci e perfettamente complanari devono
permettere che le due parti consentano un perfetto e stretto contatto tra le zone cambiali. Legate le due
superfici di contatto s’impermeabilizza il tutto. Il tempo di saldatura in alcuni casi può essere
particolarmente lungo, occorre attendere a fare la rimozione delle parti eccedenti la stagione vegetativa
successiva a quella d’impianto. A volte richiede riequilibrare le parti aeree in rapporto alla consistenza
degli apparati radicali dei simbionti, (individui costituenti le parti dell'innesto), impiegati.
Tralasciamo la descrizione della variante e a doppio spacco inglese perché le applicazioni non cambiano
rispetto alla prima variante, mentre è solo più complessa la sua esecuzione.
Approssimazione ad intarsio.
E’ usato quando il portainnesto ha la corteccia più spessa della marza: in questo caso occorre praticare
nella corteccia del soggetto un intaglio lungo dai 7 ai 10 cm., la larghezza di questo andrà calcolato sul
diametro della marza da innestare. Le incisioni, parallele che determinano l'intaglio, andranno
leggermente svasate verso l'esterno in modo che la marza cui sarà praticata un incisione che asporti la
corteccia ed incida leggermente il legno si possa appoggiare sul fondo dell'intaglio. La corteccia della
marza dovrà poi essere rifilata sulla lunghezza in modo da mostrare lateralmente il tessuto cambiale.
La marza inserita nell'intaglio del soggetto dovrà essere tenuto in sede con una chiodatura, od
interponendo tra la marza e la successiva uno spessore che la mantenga in sede. La legatura va poi
come il solito paraffinata. Nell'anno successivo, a saldatura avvenuta si asporteranno le parti inutili dei
simbionti. Quest’innesto va operato in piena vegetazione e in ogni modo quando la pianta "dà la
buccia".
Metodo dell'innesto a corona.
Si usa per inserire diverse marze sulla testa del portainnesto, questa si posizionano in modo radiale
praticando nel soggetto dei tagli lungo le direttrici del tronco fino ad incontrare il legno. Quest’innesto
va praticato quando l'albero è in piena attività, quando il legno "dà la buccia". Le marze preparate a
cuneo con doppio piano inclinato vanno poi inserite tra la corteccia ed il legno, quindi si effettua la
legatura che va paraffinata come già più volte indicato. Questo tipo d’innesto produce l'unione dei due
simbionti meno saldo d’altri metodi, quindi anche nell'anno successivo all'attecchimento occorrerà
proteggere l'innesto dal vento che potrebbe staccare le marze innestate. Questo metodo, nella tecnica
bonsaistica è usato per produrre lo stile a scopa rovescia su specie che non emettono facilmente gemme
nella zona cambiale dei tagli, oppure per ottenere bonsai a tronchi multipli.
Tecnica a gemma.
Mentre nell'innesto a marza questa è costituita da un breve ramo con alcune gemme, in questa seconda
tecnica si utilizza una sola gemma ed un piccolo pezzo di corteccia con o senza legno.
I processi fisiologici che interessano quest’innesto sono gli stessi che interessano quello a marza.
Quest’innesto si esegue durante tutto il periodo vegetativo, purché non intervengano situazioni
ambientali che ostacolando lo sviluppo della pianta impediscano il distacco della corteccia dal legno,
situazione che come abbiamo già visto in precedenza vada sotto il termine tecnico di: "Dare la buccia ",
solo nell'innesto a gemma ad intarsio si può operare anche se questa condizione non è rispettata.
Quest’innesto ed in particolare il metodo a T, richiede in assoluto meno lavoro dell'innesto a marza, ed
ha se eseguito in condizioni propizie un’altissima percentuale d’attecchimento. E' però un tipo d’innesto
che si esegue quasi esclusivamente su piante o branchette giovani.
I periodi dell'anno in cui le piante presentano la caratteristica di "dare la buccia " e le gemme da
innestare siano ben sviluppate sono tre; nel nostro emisfero corrispondono con i mesi di: luglio -
settembre (innesto autunnale), marzo - aprile (innesto primaverile), fine maggio inizio giugno (innesto
di giugno).
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aprile 15, 2009

La margotta è una tecnica di propagazione di antica origine cinese

Tecnica della margotta

I cinesi sono sempre stati apprezzali per il loro ingegno: la ruota, la bussola, la porcella­na, la polvere da sparo e persino il bonsai sono solo alcune delle invenzioni loro attri­buite.

La propagazione di piante per mezzo della margotta è un'altra utile invenzione che si ritiene abbia avuto origine in Cina. È da più di 1500 anni, probabilmente, cbe si fanno margotte e questo metodo è ancora ampia­mente usato al giorno d'oggi. Gli antichi cinesi con ogni probabilità scopri­rono questo procedimento assolutamente per caso: osservando ad esempio un albero o un ramo parzialmente rotto che aveva prodotto nuove radici nel terreno.

Nelle condizioni di caldo umido tipiche dei tropici, la margotta è un procedimento velo­ce che viene frequentemente applicato; in India, ad esempio, molte varietà di alberi da frutto come il mango e la guava vengono moltipllcate con questo metodo. Usualmente, si applica un grumo di sfagno attorno a un ramo parzialmente tagliato. Questa pallottola viene quindi legata con un tessuto vegetale e nello spazio di alcune set­timane si forma una nuova massa di radici.
II vantaggio principale di questo tipo di mar­gotta è che se ne ottiene un albero maturo che produce già frutta in giovane età e in brevissimo tempo.
Tutto ciò naturalmente ne fa un metodo ideale per il bonsai; si potrà ottenere un al­bero maturo in una frazione del tempo che ci vorrebbe per crescerlo, con un tronco si­mile, da seme o da talea. In più, la margotta da la possibilità di scegliere un ramo in par­ticolare, che abbia una forma adeguata al nuovo soggetto che si vuole realizzare. È abbastanza sorprendente, quindi, che no­nostante tutte queste buone ragioni la mar­gotta sia così poco usata, professionalmente, come un'efficace tecnica per la produzione di bonsai. Il motivo addotto generalmente dai vivaisti è che la margotta richiede troppa inanualità e attenzione, ma io sospetto che il vero motivo sia il non voler smembrare lo stock di piante madri, utilizzandone i rami più belli.

Un acero palmato var. Deshojo, coltivato nello stile a due tronchi e ammirato per il colore carminio della sua chioma, è pure molto bello senza foglie quando, nel tardo autunno, i giovani rami sono ancora rosseggianti.

Come nel caso del materiale che si può raccogliere all'aperto, la disponibilità di rami è relativamente limitata. Una volta che si sia esaurita ci vorrà parecchio tempo prima che altro materiale della stessa qualità sia disponibile.

Per quanto riguarda gli appassionati di bonsai, in ogni caso, la margotta è un metodo ideale di propagazione delle piante in quan­to è semplice, economico e veloce. Coloro che l'hanno già sperimentato saran­no certamente d'accordo nel riconoscere che da molta soddisfazione vedere le radici for­marsi dal nulla, in così breve tempo. In real­tà la margotta è uno dei processi più affasci­nanti del giardinaggio.

foto acero palmato

Un acero palmato var. Deshojo, coltivato nello stile a due tronchi e ammirato per il colore carminio della sua chioma, è pure molto bello senza foglie quando, nel tardo autunno, i giovani rami sono ancora rosseggianti.

Principi di base

La tecnica della margotta richiede che si in­terrompa la discesa della linfa in un punto del ramo. Quando ciò avviene, il ramo, nel tentativo di sopravvivere, cerca di creare un ponte di tessuto oltre lo sbarramento, oppu­re di formare nuove radici, per trovare umi­dità e nutrimento nelle immediate vici­nanze.
Si possono applicare due metodi per inter­rompere il flusso della linfa, con alcune va­rianti nella tecnica di applicazione. Il primo metodo consiste nel tagliare un anello di corteccia tutt'intorno al ramo o al tronco, mentre il secondo richiede l'applica­zione di un tornichetto attorno al ramo, in modo che la linfa non possa passare. Essendo l'interruzione della linfa un inter­vento traumatizzante, spesso è consigliabile lasciare una strisciolina di corteccia perché agisca come un ponte e consenta al ramo di essere ancora nutrito, anche se in misura ri­dotta.
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Adattare il metodo alla varietà dell'albero

La scelta della tecnica più adatta dipende fortemente dalla varietà dell'albero: ad esempio alcune essenze reagiscono bene al­l'asportazione dell'anello di corteccia, altre lo subiscono come uno shock troppo grave, e possono anche morire. Ciascuno può, con l'esperienza, scoprire quale varietà di albero risponde bene a un metodo piuttosto che all'altro. Io comunque trovo che l'asportazione della corteccia è particolarmente valida per le seguenti varie­tà: acero giapponese, acero tridente, olmo cinese, zelcova, tutti i ginepri, salice e coto-neaster.

Ho anche sperimentato che, nonostante si possano far margotte praticamente in tutte le parti dell'albero, il punto migliore è subito sotto la biforcazione di un ramo. Questa è tra l'altro la posizione raccomandata sia dai cinesi che dai giapponesi.

La margotta è particolarmente indicata se usata su alti alberi di vivaio, coltivati per i giardini.
Questi alberi sono stati privati di tutti i ger­mogli fino a un'altezza di circa un metro e ottanta; ciò lascia loro una 'testa' di rami che nascono in cima a un lungo tronco nudo. Da uno solo di questi soggetti si possono ricava­re 9 o 10 nuove piante, facendo margotte su tutta la sua altezza.
Selezionando le varietà di alberi che radica­no facilmente in questo modo e facendo un paio di margotte su ognuno di essi, potrete ottenere nello spazio di una sola stagione ve­getativa non meno di sei o sette nuovi sog­getti.

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Come accorciare I tempi: In termini di tempo, il bonsai è lento

II ginepro comune (Junìperus communis) cresce sia in terreni acidi che calcarei. Questo soggetto ha una forma notevole ed è il tipico materiale che si può trovare in natura: la sua altezza di circa 1 metro e mezzo lo rende inadatto alla coltivazione bonsai.

In termini di tempo, il bonsai è lento: il pro­cedimento per creare un albero piacevole può richiedere decenni. Bisogna pensare in termini di anni e stagioru vegetative piuttosto che in mesi o giorni. In un certo senso, ciò è tipicamente orientale dal momento che in quella cultura tutti ac­cettano che certe cose semplicemente non possono essere fatte più in fretta.

La pazienza viene considerata dagli orientali come una virtù cardinale: in genere non e e alcun dispiacere nell'avere da aspettare. Tutto ciò si adatta bene al bonsai: aspettare che l'albero maturi fa parte del divertimen­to... come dire che è piacevole invecchiare insieme con il proprio albero. I vecchi bonsai possono addirittura diventa­re un'eredità che passa di generazione in ge­nerazione.

Recentemente, tuttavia, i valori sono cam­biati, molto probabilmente per l'influenza occidentale, e si cerca di superare questa ve­nerazione per l'età.
Sempre più spesso si cerca di insegnare a. pubblico che l'età di un albero non è così im­portante come la sua bellezza. Nonostante questa tendenza, l'età dell'albe­ro, intesa in primo luogo come il tempo ne­cessario alla sua coltivazione, resta una delie qualità intrinseche più importanti di ur. bonsai.
Una delle domande che più di frequente <: ascoltano alle mostre è: «Quanto è vecchie quest'albero?». Immancabile sarà la delusio­ne nel caso in cui alla fine il bonsai non ri­sulti tanto vecchio quanto ci si aspettava che fosse. C'è qualcosa di speciale in un vecchio bonsai. Questa età apparente è spesso une dei fattori principali che distinguono un ca­polavoro da un bonsai comune. Come per gli oggetti di antiquariato, il tem­po passato infonde nel bonsai una certa qualità e suggestione, che vengono percepi­te da chi lo guarda: è però qualcosa di cosi sottile che è difficile descriverlo a parole. Fa parte della natura umana, comunque, es­sere impazienti, il che significa che molte persone cercano di imboccare delle scorcia­toie per raggiungere i loro obiettivi.

Questo desiderio di risparmiare tempo e fatica non è necessariamente negativo: infatti è una delle spinte del progresso. Nel bonsai svariati metodi per 'bruciare le tappe' sono stati escogitati nel corso dei secoli. Anche se in origine queste tecniche non erano stat studiate per scopi commerciali, esse oggi sono molto importanti sia per l'appassionato che per il professionista. Esse permettono infatti di aumentare il quantitativo di bonsai commercializzati, ma anche di godere della bellezza di un albero in tempi molto più bre­vi. È chiaro infatti che tanto l'amatore quan­to il commerciante preferiscono vedere pre­sto i risultati dei loro sforzi. Queste tecniche speciali, sviluppate nel frat­tempo, rendono possibile tutto ciò. I metodi che vengono descritti nelle pagine seguenti saranno poi spiegati con maggiori dettagli nei capitoli successivi.

foto ginepro:

Questo ginepro, dal legno vecchio e contorto ha una naturalezza e un vigore che non possono essere ottenuti artificialmente. Raccolto in natura nell'83, ha richiesto pochissimi interventi, se non cambiare il suo assetto da orizzontale a verticale.

foto ginepro comune:

II ginepro comune (Juniperus communis) cresce sia in terreni acidi che calcarei. Questo soggetto ha una forma notevole ed è il tipico materiale che si può trovare in natura: la sua altezza di circa 1 metro e mezzo lo rende inadatto alla coltivazione bonsai.

foto ginepro raccolto:

II materiale bonsai può essere trovato un pò dappertutto.Quest'altro ginepro, raccolto in natura, ha un tronco sbello e dolcemente incurvato que lo rende idelae per fare un literati. Praticamente non ha subito nessun intervento di educazione: bisognerà solo migliorare la forma della chioma.

Grandi alberi di vivaio

Un modo per abbreviare i tempi nel bonsai è partire con alberi di vivaio già di una certa dimensione. Io ho realizzato dei bonsai da alberi che erano alti anche 6-9 metri ridu­cendoli a 60-90 centimetri. In questo modo è possibile risparmiarsi parecchi anni di colti­vazione e nello stesso tempo trarre vantag­gio dallo spessore del tronco che tali alberi hanno raggiunto. Un bonsai con un grosso tronco, a parità di condizioni, colpisce molto più di un albero con il tronco sottile. Le piante decidue sono particolarmente adatte a fare bonsai, poiché producono facil­mente nuovi rami anche dal legno molto vecchio, mentre per le conlfere ciò è molto più difficile. Nei prossimi capitoli (in partico­lare il sesto e il settimo) le illustrazioni mo­strano come certi bonsai sono stati realizzati usando materiale di vivaio già molto svilup­pato, sia con latifoglie che con conifere. Gli alberi usati sono normale produzione di vivaio, reperibile ovunque.

Alberi raccolti

Un altro metodo per ottenere rapidamente un bonsai è quello di utilizzare 'alberi rac­colti'. Con questa espressione normalmente si intendono gli alberi che sono stati raccolti in natura - montagna e foresta - ma io pre­ferisco pensare che la raccolta comprenda un maggiore assortimento di materiale di questo tipo.
Si possono, ad esempio, raccogliere alberi nel proprio giardino o in quello degli amici, così come si può ricavare materiale da siepi, vecchi frutteti o campagne abbandonate, vi­cino alle ferrovie e sui bordi della strada. Questi alberi raccolti hanno la qualità di es­sere cresciuti per molti anni trascurati dal­l'uomo. Hanno perciò un aspetto molto na­turale.
Inoltre, gli elementi e il tempo passato li hanno trasformati in potenziale materiale per bonsai molto pregevole. Nelle regioni di alta montagna, dove le con­dizioni di sviluppo sono molto dure, gli albe­ri crescono spontaneamente ridotti e assu­mono forme particolarmente interessanti a causa degli effetti del vento e della neve. I metodi per trasformare alberi raccolti in bonsai sono descritti in dettaglio nel quinto capitolo.
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Come trattare le margotte delle conlfere e delle latifoglie In genere sulle piante decidue risponde meglio la margotta fatta con il metodo del­l'aspo

In genere sulle piante decidue risponde meglio la margotta fatta con il metodo del­l'asportazione di corteccia. Le conifere, al­l'opposto, radicano meglio con la tecnica che richiede di lasciare un piccolo ponti­cello di corteccia; oppure con quella della strozzatura tramite l'applicazione del torni-chetto.
Il ginepro costituisce una eccezione: quasi tutte le varietà di questa specie, infatti, radi­cano molto rapidamente con la tecnica del­l'asportazione.

L'intervallo di tempo tra la realizzazione della margotta e la comparsa delle radici varia a seconda del­la specie. Ci sono alcuni ginepri che producono radici in circa due settimane; i pini, d'altro canto, sono notoriamente mol­to più lenti.

I pini pentaphilla richiedono addirittura uno o due anni, per formare nuove radici adatte a sostenere adeguatamente la vi­ta del nuovo albero. Ai pini, quindi, si adatta meglio la tecnica del tornichetto, in quanto la rimozione della cor­teccia si rivela troppo drastica. Si può comunque usare una va­riante del metodo dell'asporta­zione della corteccia, lasciando alcuni ponticelli. Con le piante decidue si pos­sono fare delle margotte su tronchi e rami anche molto grandi.
Sono riuscito, ad esempio, a far radicare rami e tronchi di zel-cova di circa 10-12 cm di dia­metro: con i salici piangenti è possibile addirittura raggiun­gere uno spessore di 15-18 cm.

Il modo migliore per ottenere una margotta
Gì, attrezzi e il materiale necessario per fare margotte: un potatoio affilato per togliere la corteccia, una soluzione di vitamina B1 per stimolare la formazione di radici, dei legacci, dello sfagno e alcuni fogli di plastica trasparente.

II periodo migliore per fare margotte è la prima parte della stagione vegetativa, cioè la primavera, quando la linfa comincia a salire abbondante.
Un vantaggio dell'iniziare precocemente sta anche nel fatto che in questo modo da un singolo albero si possono trarre margotte fi­no all'inizio dell'autunno. Alcuni esperti propongono di avvolgere la palla di sfagno con plastica trasparente, so­vrapponendovi un secondo foglio di plastica nera.
Secondo la mia esperienza, però, la plastica scura non è necessaria, poiché lo spessore stesso dello sfagno esclude la maggior parte della luce dalla zona in cui devono nascere le radici.

Inoltre, usando la plastica trasparente, di­venta possibile vedere quando le radici si so­no formate e passano attraverso lo strato di sfagno: si può così sapere esattamente quan­do staccare il ramo dalla pianta madre. Il momento in cui il ramo viene separato dal resto dell'albero è decisivo per il successo della margotta. Infatti, se il ramo vie­ne tagliato troppo presto la mar­gotta non può sopravvivere. La margotta è pronta solo quando una quantità sufficien­te di radici ha riempito la palla di sfagno. Si può a quel punto vedere chiaramente una massa di nuove radici turgide e bian­castre. Quanto più queste sa­ranno abbondanti tanto mag­giore sarà la possibilità di suc­cesso. Il taglio per separare il ramo deve essere netto. Occorre una certa cautela nel manipolare la palla di sfagno quando è piena di radici: alcu­ni propongono di procedere al taglio a piccole porzioni e in operazioni successive, comunque non è necessario. Quando nella margotta si sono formate radici in buo­na quantità, la sua sopravvivenza è assicura­ta anche se si taglia tutto in una volta. A questo punto occorre sistemare il nuovo apparato radicale in un vaso piuttosto gran­de e coprirlo con torba pura. Ho notato che se viene usata la torba da so­la invece del terriccio o sabbia grossolana, le radici restano più integre e quindi la margotta ha migliori probabilità di sopravvi­vere.
Se invece viene usato terriccio pesante, op­pure sabbia o ghiaietta, il peso di questi ma-
teriali rischia di danneggiare le ancora fragi­li radici.
Se la chioma del nuovo alberetto è molto ricca di rami e di foglie occorrerà eliminar­ne una parte, al fine di ridurre la traspira­zione e dar tempo alla margotta di affran­carsi completamente.
È anche buona regola collocare il soggetto appena rinvasato in una bacinella d'acqua, in modo che possa assorbire tutta l'umidità che gli serve.
Può giovare l'aggiunta di vitamina Bl, ma non si deve fertilizzare, poiché in questa fa­se il concime potrebbe danneggiare le giovanissime radici. La cosa migliore sarebbe si­stemare le margotte appena rinvasate in un luogo umido, come una serra fredda, oppu­re in nebulizzazione.
Questo favorisce la formazione di ulteriori radici in breve tempo. Una margotta rinvasata in sfagno puro può riempire il vaso di radici in due o tre setti­mane.
Non si deve assolutamente collocare la mar­gotta appena fatta direttamente in un vaso bonsai; è meglio lasciarla per almeno un an­no in un grande vaso da coltivazione. In alternativa la si può coltivare, per un an-
no ancora, in una grande seminiera o addi­rittura nel terreno, affinchè le radici possa­no irrobustirsi; ciò permette poi la loro ma­nipolazione e il successivo rinvaso in un contenitore bonsai.
L'anno successivo si potrà cominciare a tra­sformare la margotta in un gradevole bon­sai: dopo il rinvaso si possono già educare e perfezionare i rami e la struttura in genere. Col tempo diventa praticamente impossibile dire se il bonsai è stato prodotto con una margotta o con un metodo più tradizionale, come il seme, la talea o l'innesto
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