vasi, sottovasi, bonsai, hobby albicocco giapponese, prunus mume, bonsai, miniature, hobby, alberi Bonsai, specie, shohin, mame bonsai, stili, miniature, alberi esposizione, pinzatura, ficus, bonsai annaffiatura, potatura, ficus, bonsai defogliazione, concimazione, ficus, bonsai melograno, bonsai, alberi tag foto 9 bonsai, specie, olmo, ficus, melograno

gennaio 16, 2009

I primi passi: coltivare da semi, da talee ed altre tecniche

TORIKI - Piante ottenute da propaggine.
La propaggine è la tecnica di far sviluppare, radici da un ramo, mentre è ancora unito alla pianta madre.

Questo tipo di propagazione, anche se casuale è comune in natura. Questa forma di riproduzione, si estrinseca poi nei seguenti tipi:

Propaggine a capo gatto, propaggine semplice, Propaggine a serpentone, Propaggine cinese o margotta, Margotta su ceppo, Propaggine a trincea o di moltiplicazione, per ultima esiste una tecnica intermediacon la talea, questa pratica è particolarmente usata nella tecnica bonsaistica. Molti dei tipi di propaggine citati rivestono interesse unicamente industriale. Gli usi di questa tecnica, sono essenzialmente quattro:


1) - Propagazione di piante da frutto che si riproducono naturalmente con questo sistema.
2) - Riproduzione di piante di clone le cui talee non radicano facilmente.
3) - Riproduzione commerciale di piante di grosse dimensioni in breve periodo.
4)- Riproduzione di un piccolo numero di piante, abbastanza grandi, con il minimo d’attrezzatura possibile.
Quest'ultimo uso è quello che fa spesso prediligere tale tecnica dai bonsaisti che desiderano avere piante di forma ideale con brevi tempi di formazione. I limiti di questa tecnica sono di contro legati alla capacità delle varie specie di emettere radici avventizie dai rami e dal tronco. I fattori, che influenzano la moltiplicazione per propaggine, sono:

1) - La nutrizione. Essa è continua perché, la sezione da radicare è alimentata con acqua e sali minerali dallo xilema, che tutte le tecniche di propagginazione considerano sostanzialmente intatto per almeno i 2/3 del diametro della pianta.

2) - Il trattamento del fusto. Tale trattamento è quello che induce la formazione delle radici avventizie, esso è costituito da alcune manipolazioni queste hanno lo scopo di interrompere parzialmente, o totalmente il trasporto delle molecole organiche verso il basso. Queste sostanze, (carboidrati, auxine, ed altri ormoni di crescita), si accumulano nei punti immediatamente a monte degli interventi, ove si ha la formazione di un callo cicatriziale con conseguente emissione di radici. L'area d’origine delle iniziali radicali si ha nella zona di separazione tra il cambio ed il floema (libro).

La sezione da radicare necessita secondo la facilità ad emettere radici avventizie, di essere piegata a "V" stretta, o, strozzate con filo di ferro, o parzialmente rotta, intaccata od anulata, le ultime tre possibilità scopre ndo la zona d’emissione radicale, facilita no la produzione di queste strutture per evitare una rapida cica trizzazione.

Nel caso d’intaccature occorre inserire tra le labbra del taglio un elemento d’interposizione, nel caso d’anellatura occorre invece raschiare completamente i residui cambiali dopo aver asportato la corteccia.

3) - Esclusione della luce. Eliminare la luce dalla zona in cui devono formarsi le radici (iniziali radic ali) è condizione comune a tutte le metodologie di propagginazione. Le tecniche d’esclusione della luce sono essenzialmente due:
l'imbiancamento e l'eziolatura.
Il primo metodo si attua quando il fusto esistente è mascherato con sostanze opache alla luce nella zona di radicamento.
Il secondo si attua durante lo sviluppo del fusto in assenza o riduzione della luce.
L'applicazione di questi due metodi è il presupposto del successo della propaggine nella ma ggior, parte dei casi riguardanti alberi con scarsa attitudine al radicamento.

5) - Condizioni fisiologiche della pianta. Molto spesso il risultato corretto della propaggine è associato ai periodi vegetativi della pianta, in particolare alcune specie radicano più facilmente quanto maggiore è il trasporto dei carboidrati e degli ormoni verso le radici al termine del periodo vegetativo.

Le parti giovani delle piante hanno più facilità a radicare, quindi vanno usate le parti apicali dei rami o quelle ringiovanite da pratiche di potatura.
Si adattano alla propagginazione, tutte le tecniche di radicamento che si usano nella tecnica della talea.

La formazione di radici, dipende poi dal mantenimento dell'umidità, dalla buona aerazione del substrato dalla temperatura moderata del medesimo. Tra i tipi di propaggine già citati hanno interesse bonsaistico, la propaggine semplice, la propaggine cinese (margotta), la margotta - talea; esa miniamo nel dettaglio ogni singola tipologia.

a) - PROPAGGINE .SEMPLICE
Questa tipologia si attua su branche di un anno a riposo. Si scelgono branche basse, flessibili, facili ad essere piegate nel terreno. All'inizio della primavera o nel tardo autunno quando la pianta è a riposo si effettua una prima piegatura verso terra, una seconda piegatura è effettuata a breve distanza dall'apice del ramo da propagginare, questo è poi fissato nel terreno con pioli, o cavalletti di filo metallico rivestito.

E’ bene procurare ferite, intaccature, anulazioni, o strozzature, queste stimoleranno l'emissione di radici.
Questa tecnica può essere applicata anche ad alberi coltivati in vaso, le branche basali trattate saranno interrate in vasi diversi dal contenitore della pianta madre.
Le propaggini semplici fatte in primavera, di solito emettono una sufficiente quantità di radici già nel primo anno di coltivazione, possono quindi essere rimosse sia in autunno sia nella primavera success iva, è utile asportare le propaggini quando le piante sono in riposo vegetativo. Le propaggini operate in estate, sono rimosse nella primavera successiva, sempre prima della ripresa vegetativa; meglio ancora se si possono lasciare collegate alla pianta madre fino al termine dell'autunno successivo.

Tutte le propaggini separate vanno trattate come le talee radicate.
b) - PROPAGGINE CINESE (MARGOTTA). E' una tecnica attuata su piante adulte d'alto fusto, si può praticare su piante coltivate all'aperto in piena terra, ed in zone non basali dell 'albero, la margotta, deve essere protetta con pellicola di polietilene. Più il legno su cui si applica questa tecnica è vecchio minore è la produzione di radici. Le piante prodotte, di maggior mole, si curano con maggior difficoltà dopo il radicamento.

La presenza di foglie attive sulle branche aumenta la formazione di radici. La margotta si esegue durante il periodo vegetativo e comunque dopo lo sviluppo di un sufficiente numero di foglie.
Vi sono alcune procedure per eseguire la margotta, ognuna ha un suo preciso campo d’impiego esse sono: l'intaccatura, l'anulazione, l'anulazione leggera più legatura.

L'intaccatura si usa su piante di facile radicamento, quali il ficus. L'anulazione si usa su piante con poca disponibilità al radicamento, o con corteccia fortemente fessurata. L'anulazione leggera con legatura si usa su alberi a crescita molto rapida e con corteccia liscia e discreta capacità al radicamento, ad esempio gli aceri.

1) - Intaccatura - Si pratica un taglio obliquo di circa 1/3 del diametro del la branca interessata. Le due superfici del taglio vanno separate con una lastrina metallica, ad esempio rame od alluminio, si prestano bene i fogli d’alluminio che servono per impacchettare i surgelati, in alternativa si possono usare pezzi di polietilene, vinile oppure interporre un frammento di legno o dello sfagno.

Nell'intaccatura è bene applicare dell'ormone radicante al 4% d’IBA in talco. il substrato di radicamento inoltre non dovrà essere troppo inzuppato d'acqua per non causare marciume all'incisione, attorno all'incisione così preparata va sistemato il substrato di radicamento (sfagno umidificato con una soluzione di benomil o capta no), questo, strizzato, dovrà formare, attorno alla branca, una palla di almeno tre volte il diametro di questa.

Attorno allo sfagno è legato con cura un foglio di polietilene largo 20 - 25 cm., in modo che il substrato sia completamente coperto. I lembi del foglio vanno ripiegati tra loro in modo che l'acqua d’annaffiatura non vada ad infradiciare lo sfagno. anche le pa rti terminali devono essere attorcigliate e chiuse con legaccini da fioraio, per lo stesso motivo. E' meglio rivestire il tutto con carta stagnola affi nché la luce non interferisca con il processo di radicamento, in alcune specie vegetali quali i ficus, la formazione di radici avviene anche alla luce, è consigliabile in ogni caso l'oscuramento per evitare che all'interno del substrato si sviluppino alghe che possono compromettere il buon esito del nostro lavoro.

Il momento, per togliere la margotta dalla pianta madre, si stabilisce osservando la formazione di radici attraverso la plastica trasparente dopo aver rimosso la stagnola. Il radicamento avviene, di norma, in due o tre mesi, anche se in molti casi occorre più tempo. E' bene che le margotte fatte in primavera non siano rimosse prima che la pianta vada a riposo. Le margotte di alcune specie quali: l'ilex agrifoglio, l'ilex serrata, la siringa vulgaris, l'azalea, il rododendro, la magnolia stellata, il liliodendron, le querce, i faggi, dovrebbero essere lasciate unite alla pianta madre per due anni, anche in questo caso le margotte vanno asportate quando non sono in fase attiva di vegetazione.

E' consigliabile sulle margotte di recente asportazione effettuare una decisa potatura della chioma in modo da allineare questa all'espansione delle radici.

2) - Anulazione - si praticano due incisioni parallele nella corteccia distanti tra loro circa 1,5 cm., indi si asporta la sezione di corteccia separata dai tagli. Con la stessa lama usata per eseguire i tagli si raschia il tessuto cambiale messo a nudo. Sulla parte superiore dell'incisione è bene applicare con l'aiuto di un pennellino a setole morbide dell’IBA al 4%, quindi si eseguono le stesse operazioni indicate al paragrafo "intaccatura".

3) - Anulazione leggera con legatura - Si praticano le incisioni come al punto "2" avendo però
l'avvertenza di tenerle distanziate quel tanto che permetta di inserire tra i tagli un filo d’alluminio di quelli usati per il posizionamento dei rami. Praticate le incisioni si dovranno asportare i residui del cambio come per la metodologia precedente quindi applicare il fito-radicante sul taglio superiore.

Il filo d’alluminio andrà inserito nell'incisione e legato attorcigliandone le estremità con una pinza questa operazione dovrà chiudere il filo in modo che si formi un anello estremamente teso. Terminata questa legatura si eseguono le stesse operazioni indicate per le due tecniche precedentemente descritte.

Quando le margotte radicate saranno invasate, accorrerà mantenerle per un certo periodo in ambiente fresco ed umido. A tal fine i vasi contenenti le margotte possono essere chiuse in sacchi di polietilene trasparente e mantenuti all'ombra.

Se l'operazione d’asportazione è compiuta in autunno, il sistema radicale, purché la temperatura cui è mantenuto durante l'inverno sia sufficiente alta da permetterne l'attività vegetativa, può estendersi tanto da permettere una buona ripresa vegetativa all'aperto nella successiva primavera. Il sistema che da comunque i migliori risultati d’attecchimento delle margotte espiantate è quello di mantenerle per alcune settimane sotto mist prima di metterle all'aperto.
c) - LA MARGOTTA – TALEA E' un sistema misto tra la propaggine cinese e la talea classica. Si
applica a quelle piante che pur producendo facilmente il callo cicatriziale, per un eccessivo apporto e ristagno di carboidrati sul lembo superiore dell'anellatura si induriscono impedendo ai primordi radicali di svilupparsi in iniziali radicali. la tecnica consiste nell'asportare la parte di branca margottata appena questa ha prodotto il callo cicatriziale e quindi trattarla come se fosse una talea, tecnica questa che sarà affrontata nel capitolo seguente.

Nella pratica bonsai la margotta è particolarmente usata perché presenta rispetto alle altre tecniche di riproduzione i seguenti vantaggi:
a) ridurre l'altezza di un albero troppo alto;
b) recuperare da un bel ramo sproporzionato un secondo bonsai;
c) recuperare la parte alta di un albero ben impostato a fronte di una parte bassa spoglia e mal andata;
d) ricavare più alberi da una sola pianta;
e) ottenere un bonsai già relativamente strutturato in breve tempo;
f) ottenere da alberi di grosse dimensioni per stili particolari.

SASHIKI - Piante ottenute per talea.
Talea è la tecnica di propagare vegetali stimolando la formazione di radici avventizie su parti asportate dalla pianta madre. La talea può essere ottenuta da ramo, da gemma con foglia, da radice e da foglia.

Nella talea di ramo e di gemma con foglia la nuova pianta deve formare solo un sistema radicale
avventizio, in quella di radice deve produrre una nuova struttura (chioma) più l'estensione della parte radicale già esistente, in quella di foglia deve rigenerare la parte aerea e quella radicale. La capacità di rigenerare l'intera struttura di una pianta, caratteristica di quasi tutte le cellule vegetali dipende da due fondamentali caratteristiche, la TOTIPOTENZA e la DEDIFFERENZIAZIONE

BASI FISIOLOGICHE DELLA PROPAGGINE PER TALEA
In alcune specie di piante le radici avventizie si formano spontaneamente. Esse possono poi essere di due tipi: radici preformate, radici da ferita. Quelle preformate si sviluppano naturalmente su i rami delle piante emergendo anche quando questi non siano staccati dall’albero; quelle da ferita si sviluppano solo dopo che si è staccata la talea dal resto della pianta.

Tecnica taleale:
Il taglio che si pratica sulla talea danneggia le cellule vegetali, il tessuto xilematico è aperto ed esposto, nella successiva cicatrizzazione e rigenerazione dei tessuti si verificano tre fasi:
1°FASE, le cellule superficiali danneggiate muoiono, si forma una placca necrotica che ricopre la ferita con materiale suberoso (suberino) ed occlude lo xilema con gomma. Questa placca protegge le superfici tagliate dal disseccamento.

2°FASE, le cellule vive sotto la placca protettiva dopo alcuni giorni cominciano a dividersi ed a formare uno strato di cellule parenchimatiche (callo).
3°FASE, alcune cellule situate tra il cambio vascolare ed il floema cominciano a formare radici
avve ntizie, questa fase si chiama rizogenesi e a sua volta si articola in quattro momenti:

1) la dedifferenziazione;
2) la formazione delle iniziali radicali;
3) lo sviluppo delle iniziali radicali;
4) l'accrescimento dei primordi radicali.
La dedifferenziazione - Alcune cellule specifiche, mature, si dedifferenziano in cellule meristermatiche predisponendosi a sviluppare nuovi punti d’accrescimento.

La formazione delle iniziali radicali - Le cellule meristematiche più prossime ai fasci vascolari danno origine alla formazione delle iniziali radicali.

Lo sviluppo delle iniziali radicali - Le iniziali radicali si sviluppano in primordi di radice organizzata.

L'accrescimento dei primordi radicali - I primordi radicali si accrescono ed emergono all'esterno
attraverso il tessuto del fusto, indi si formano le connessioni vascolari tra questi ed i tessuti conduttori della talea.

Nelle talee legnose di piante perenni le radici avventizie di norma hanno origine da cellule vive del parenchima (floema secondario giovane), ma a volte altri sono i tessuti originari, ad esempio, tessuti dei raggi midollari, del cambio, del midollo, o dal floema primario.

Il callo che nelle talee si forma sul taglio, non è necessario allo sviluppo delle radici, anche se in alcune specie esso pare sia il precursore della formazione di radici avventizie.
E' provato che il Ph del mezzo di radicamento influenza il tipo di callo prodotto, questo a sua volta può influenzare l'emergenza delle radici da poco formate.
Un substrato relativamente acido produce nella maggior parte delle specie calli voluminosi e morbidi che permettono un facile radicamento. Substrati basici o molto basici producono calli con struttura calcarea, cellule piccole, ammassate, dunque consistenti, queste talee pur presentando primordi radicali ben formati nel callo non producono radici.

Facilità di radicamento - scelta dei materiali.
La presenza di un anello sclerenchimatico (cellule dure) nella zona di formazione delle iniziali radicali, salvo innumerevoli eccezioni, può costituire una barriera insormontabile al radicamento. Incisioni lungo la periferia del ramo di talea creando una discontinuità nell'anello di cellule dure ripristinano la facilità a radicare.

Nelle talee radicali la formazione di radici avventizie non è garanzia di produzione dei primordi
gemmari, allo stesso modo la formazione di germogli avventizi non necessariamente è garanzia di produzione di radici, in entra mbi questi casi la talea finisce per morire.

Le talee sono condizionate nel radicamento dal rispetto della polarità della parte che si usa. La polarità di un ramo è definita dal verso che collega la parte prossimale più vicina alla base del fusto con quella distale vicino all'apice, quella della radice è inversa alla polarità delle parti aeree. La presenza di foglie sulla talea produce un forte stimolo al radicamento.

Nella tecnica bonsaistica, il tempo che intercorre tra la produzione di una talea radicata ed il
raggiungimento di dimensioni sufficienti ad impostare l'albero è piuttosto lungo, quindi questa tecnica è usata quasi esclusivamente per riprodurre specie per cui non siano possibili altre opzioni riproduttive.

Materiali.
Molte piante radicano facilmente per talea anche se spesso l'età può interferire in modo negativo sull'emissione di radici avventizie, ciò a causa della produzione negli stadi maturi di sostanze inibitrici che bloccano questa tendenza.

Le specie arboree, cespugliose, o sarmentose, da cui si possono ottenere talee sono:
Abies fraseri Corniolo Pino mugo
Acacia spp. Chaenomeles Pino radiata
Acero spp. Cotoneaster Pino di Norfolk
Agrifoglio Criptomeria Platano
A. dei tulipani Deutzia Plumbago
A. della nebbia Eleagnus Podocarpo
A. di giuda Evonimo Piracantha
Albizia (R) Gardenia Quercia (risultati scarsi)
Azalea Gelso Rododendro
Berbereis Gelsomino Rosa polianta
Betulla spp. Ginepro Rosmarino
Bosso Ginkgo Salice
Buganvillea Ibisco Sequoia sempervirens
Calluna Lagerstroemia Sequoia giganteum
Camelia Larice Spirea
Canfora Liquidambar Tasso
Caprifoglio Magnolia Thuia
Cedro Metasequoia Tsuga
Celtis spp. Olivo Weigelia
Chameciparis Olmo Wisteria
Cipresso Pero

Ognuna delle piante sopra elencate sono poi condizionate nella facilità a radicare dai seguenti fattori:
- Condizioni fisiologiche delle piante madri.- Età delle piante madri (meglio la fase giovanile). - Tipi di rami scelti. - Presenza di virosi. - Epoca del prelievo.- Fitoregolatori. - Nutrimento.- Fungicidi. -
Intaccatura del materiale. - Condizioni idriche. - Lunghezza del giorno. - Quantità della luce. - Substrato di radicamento. Per la produzione amatoriale delle talee, poiché la percentuale di radicamento può anche essere relativamente basse, i fattori da tenere in maggior conto sono limitati alla:
- Epoca del prelievo;
- Fitoregolatori e fungicidi;
- Umidità ambientale;
- Substrato;

EPOCA DEL PRELIEVO.
Le talee di piante caducifoglie, se legnose, è bene prelevarle nel periodo di riposo, quelle semilegnose durante il periodo vegetativo.

Il periodo migliore per i ficus è la primavera - estate quando l'attività cambiale è massima. Le azalee a foglia caduca, radicano prontamente se prelevate all'inizio della primavera. Per alcune piante il radicamento avviene anche durante il riposo invernale.

FITOREGOLATORE E FUNGICIDI.
I fitoregolatori più usati sono:
L'acido Beta indol-acetico (IAA);
L'acido Gamma indol-3butirrico (IBA);
L'acido Alfa naftalenacetico (NAA);
L'acido 2,4- Diclorofenossiacetico (2,4D).

Questi prodotti rientrano nel gruppo delle auxine sintetiche e vanno applicate sulla parte basale della talea, a volte per facilitare la produzione di gemme avventizie, che stimola ulteriormente la tendenza alla produzione di radici, si possono trattare le talee con citochinine ( CHINETINE, BA o PBA ).

Ogni applicazione di fitormoni va sempre integrato dal trattamento con anticrittogamici ( captano o benomil ) i fitormoni venduti in commercio sono già associati ad anticrittogamici dispersi nel talco.

UMIDITA' AMBIENTALE.
Si è già precisato che la formazione di radici avventizie, è tra le altre cose, stimolato dalla presenza di gemme e foglie. Infatti, queste proseguendo la funzione clorofilliana apportano alla pianta i carboidrati che risultano tra i co-fattori della radicazione, (è accertato che anche le talee più difficili, radicano con maggior facilità quanto più è basso il rapporto azoto/carboidrati ).

E' noto che le funzioni vitali delle piante è strettamente connessa alla capacità di queste di assimilare acqua, quando l'assorbimento di questo composto è scarso o manca del tutto, le funzioni vitali rallentano fino a cessare del tutto con la conseguente morte dell'albero.

L'assorbimento avviene prioritariamente attraverso l'apparato radicale ed in parte attraverso il sistema fogliare. Nelle talee, in cui l'apparato radicale è assente, l'assorbimento idrico deve avvenire solo attraverso le foglie che per la loro localizzazione possono assorbire ovviamente solo l'acqua che si trova nell'atmosfera sotto forma d’umidità (vapor d'acqua). A livello industriale le talee ottenute in ambiente protetto, sono mantenute umide con il "mist”, ( tecnica d’irrorazione meccanica che mantiene un velo d'acqua sulle foglie).

A livello amatoriale, questa tecnica può essere sostituita da un ambiente in cui l'umidità prodotta
dall'evaporazione del substrato non può disperdersi nell'aria, ciò si può ottenere mantenendo le talee chiuse in sacchi di polietilene a tenuta d'aria. Le talee così confezionate devono essere mantenute in ambiente fresco anche se luminoso, i sacchi di polietilene non devono mai essere esposti anche per brevi periodi ai raggi solari.

KABUVAKE - Piante ottenute per separazione di radici.
Si prestano all’applicazione di questa tecnica, quelle specie che hanno la tendenza a sviluppare polloni radicali, od a presentare un portamento cespuglioso con parecchi fusti emergenti da una stessa radice.

Sono predisposte ad essere moltiplicate per separazioni di radici alcune specie di Rhus, il Gelso, alcune Betulle, i Cotogni, il Chaenomeles, alcune specie di Mognolie, le Gardenie, i Rododendri, le Azalee, alcuni Eleagnus, l'Akebia, il Melograno.

Questa tecnica, come le altre di tipo agamico, mantiene le caratteristiche della pianta madre, ed il materiale ottenuto presenta uno sviluppo più rapido delle piante ottenute da seme inoltre la tecnica della separazione di radice proprio per queste caratteristiche permette di anticipare l'educazione del bonsai in tempi ristretti, infatti, quando la separazione avviene la pianta ha già raggiunto uno sviluppo sufficiente da evidenziare le caratteristiche del futuro bonsai.

La separazione di radice si applica prima che appaiano i germogli in primavera. Essa va poi applicata, in modo differente, a seconda che occorra staccare da una pianta adulta dei polloni radicali o che da un’essenza a portamento cespuglioso si vogliano ottenere più pianticelle.

A) Separazione di polloni radicali.
Per asportare polloni radicali dalla base d’alberi in piena terra, occorre scoprire i medesimi dal terreno che li ricopre scavando attorno alla pianta con una zappetta, ed avendo cura di non rovinare con l'attrezzo le radici capillari del pollone. Va da se che occorrerà separare dalla pianta madre solo quel materiale che abbia una buona distribuzione di rami ed una relativa conicità in riferimento all'altezza complessiva dell'albero.

Rispettate le norme di cui sopra si taglia con una sega, l'arbusto, nel punto d’unione alla pianta madre.

B) Pianticelle ottenute per divisione d’essenze cespugliose.
Queste pianticelle perenni si possono presentare come una serie a volte numerosa di piccoli fusti che partono da un unico ceppo. Occorre estirpare le piante con una vanga, evitando che nell'asportazione il pane radicale sia eccessivamente ridotto. La pianta estirpata dovrà essere ripulita dalla terra, in modo che tutto l'apparato radicale sia messo a nudo, quindi con forbici da potatura ben affilate si suddividono le pianticelle in rapporto al loro grado di sviluppo che i vari fusti presentano.

In entrambi i procedimenti occorre medicare i tagli praticati nella separazione con mastici addizionati ad anticrittogamici specifici contro il marciume. Le piante separate devono essere potate in modo da eliminare i rami inutili o mal posizionati quindi andranno poste in vasi da coltivazione seguendo la stessa tecnica già proposta per le piante raccolte in natura.

TSUGIKI- Pianta ottenuta per innesto.
L'attuazione di quest’antichissima tecnica si colloca ai primordi dei tempi storici. Essa nasce
probabilmente come applicazione della capacità, osservata in natura, che certe piante hanno di saldare tra loro parti del vegetale che casualmente sono accostate forzatamente tra loro. Di certo si sa che in Cina verso il 1000 a.C., questa pratica era considerata un’arte. In occidente, Aristotele (384 - 322 a. C.) illustrò questa tecnica agronomica con specifica conoscenza dell'argomento.

Altrettanta conoscenza dell'innesto avevano i giardinieri romani, ciò è confermato dalla cospicua letteratura in materia trama ndataci. La riscoperta di questa letteratura in periodo rinascimentale, divenne patrimonio comune dell'intera cultura agronomica europea. Nel diciannovesimo secolo, i botanici iniziarono un’analisi sperimentale della tecnica descrivendola in modo molto simile a quella attualmente adottata.

Pur non dando nella tecnica bonsaistica risultati particolarmente armoniosi, e garantendo una ridotta longevità del materiale ottenuto, l'innesto per alcune sue particolarità, è molto utile nella formazione dell'araki.

L'innesto è l'arte di unire insieme due parti distinte di tessuto di una o più piante per formarne un’unica.

Nell'innesto vanno distinte:
La "marza " (o gentile, o nesto); questa è la parte di pianta che originerà la chioma dell'albero.
Il " portainnesto " (o soggetto); questo è la parte di pianta che originerà il sistema radicale.
I principali motivi che inducono i maestri bonsaisti ad usare l'innesto sono:
a) - la possibilità di usufruire dei benefici di alcuni portainnesti;
b) - la creazione di forme speciali in piante adulte;
c) - la reintegrazione di parti di piante danneggiate o mancanti;
d) - la produzione di varietà che non sono ottenibili con altre tecniche di moltiplicazione asessuata.

Come abbiamo citato nella premessa esistono casi d’innesti naturali; è, infatti, possibile osservare due rami che per essere rimasti pressati l'un contro l'altro per lungo tempo tra di loro, si sono innestati naturalmente.

Un esempio classico d’innesto aereo è rappresentato dall'Hedera helix, anche se più significativi sono gli innesti naturali ipogei tra radici. In questi casi l'innesto avviene normalmente tra specie eguali o simili, a volte può succedere che alberi in cattive condizioni di salute sopravvivano per innesto tra radici con un albero contiguo della stessa specie, negli innesti tra radici aeree si è potuto verificare che il loro primo contatto è dato dalla fusione dei peli radicali.

La buona riuscita di un innesto artificiale avviene in conseguenza della guarigione delle ferite di questa pratica.


BASI FISIOLOGICHE DELLA PROPAGAZIONE PER INNESTO.
La sequenza che porta alla cicatrizzazione dell'innesto avviene secondo la seguente cadenza:
1)- il tessuto meristematico della "marza" appena prelevato è messo in stretto ed ininterrotto contatto con il tessuto corrispondente del " soggetto", anch'esso appena tagliato, facendo in modo che le regioni cambiali delle due parti siano il più possibile prossime tra loro. Le condizioni di temperatura ed umidità,
devono essere le più adatte a stimolare l'attività vegetativa delle cellule esposte e di quelle che le
circondano.

2) - inizia la produzione di cellule parenchimatiche da parte delle cellule più esterne delle regioni
cambiali della marza e del soggetto che in breve tempo verranno a congiungersi ed a saldarsi tra loro creando il tessuto calloso,

3) - alcune delle cellule dei calli cicatriziali prossime alle regioni cambiali delle due parti dell'innesto si dedifferenzieranno a loro volta in cellule cambiali interconnesse.
4) - le nuove cellule cambiali produrranno nuovo tessuto vascolare ( xilema all'interno e floema
all'esterno ), è a questo punto che le connessioni vascolari tra marza e soggetto saranno ricostituite, determinando la riuscita dell'innesto.

La saldatura degli innesti è poi condizionata dai seguenti fattori:
L'incompatibilità, - La specie delle piante, - Le condizioni ambientali, - L'attività vegetativa del
portainnesto, - La tecnica di moltiplicazione, - le possibili infezioni, - L'uso di sostanze di crescita.

L'INCOMPATIBILITA’.
Il risultato dell'incompatibilità è la completa o scarsa percentuale d’attecchimento. (a volte
l'incompatibilità si dimostra in tempi relativamente lunghi dopo un iniziale risultato soddisfacente).

LA SPECIE DELLE PIANTE USATA.
Alcune piante sono particolarmente difficili da innestare, anche se non presentano incompatibilità
piante difficili sono il noce nero, la quercia, il faggio. Il melo ed il pero hanno un’altissima percentuale d’attecchimento anche in presenza di tecniche rozze di manipolazione, non così avviene per le drupacee, il pesco è più facile da innestare su specie affini compatibili che sugli individui della sua stessa specie. A volte la percentuale di riuscita aumenta a seconda del metodo scelto ( a marza o a gemma ), in alcuni casi l'innesto è così difficoltoso da consigliare la tecnica per approssimazione tra piante della stessa specie, in questo metodo il permanere delle due piante sulle loro stesse radici facilita l'attecchimento.

LE CONDIZIONI AMBIENTALI.
La formazione del callo come nelle talee richiede di particolari condizioni ambientali, i parametri delle quali sono: la temperatura, l'umidità, l'ossigeno, la luce.
La temperatura: - in quasi tutte le specie vegetali, la massima produzione di callo cicatriziale si ha tra i 4° ed i 32°C., il tasso di sviluppo aumenta proporzionalmente con la temperatura anche se negli innesti in pieno campo temperature relativamente basse, 15° - 20° C. garantiscono un innalzamento della percentuale d’attecchimento.

L'umidità. - le cellule parenchimatiche del callo hanno bisogno d’umidità per sopravvivere, l'effetto dell'umidità sulla saldatura stimola la produzione del callo di sutura. Per ovviare alla perdita d’umidità nelle sezioni dell'innesto si usa paraffinare il punto d’intervento.

Gli innesti di radice che non possono essere paraffinati, sono avvolti in materiali umidi, quali torba o sfagno bagnati, questi oltre che assicurare la necessaria umidità, garantiscono una buon’aerazione.

L'ossigeno. - serve alla produzione del callo di saldatura e ciò dipende dal fatto che la forte
proliferazione del parenchima dovuto alla divisione cellulare, è accompagnata da un'intensa respirazione con conseguente consumo d’ossigeno.

In alcune piante la necessità d’ossigeno è essenziale alla formazione del callo al punto di sconsigliare la paraffinatura degli innesti.


La luce. - spesso la luce inibisce la formazione del callo (es. Prunus serotina ) quindi è consigliabile
oscurare la zona d’innesto con apposite schermature. La mascheratura delle incisioni può risultare utile anche quando l'innesto necessita di temperature relativamente basse, in questi casi è consigliabile avvolgere l'innesto con un frammento di carta riflettente d’alluminio.

L'ATTIVITA' VEGETATIVA DEL PORTAINNESTO.
In alcuni metodi d’innesto, come quello a T o quello a corona, è necessario che la corteccia "dia la buccia ".Questo modo di dire tecnico indica un particolare stadio dell'attività cambiale che permette alla corteccia di staccarsi facilmente dalla parte legnosa. In primavera il risveglio delle gemme determina l'inizio dell'attività cambiale, infatti, la produzione d’auxine e delle gibberelline prodotte dalle gemme passa da queste al fusto.

La produzione del callo, essenziale per l'attecchimento dell'innesto, è maggiore nel periodo a cavallo della germogliazione primaverile, riducendosi poi nel periodo estate - autunno, sarà poi verso la fine dell'inverno che si verificheranno altre condizioni che faciliteranno la proliferazione del callo cicatriziale, anche se questo fatto non è legato all'attività vegetativa delle gemme, questo è il periodo migliore per innestare le conifere.

Gli innesti vanno evitati in primavera per tutte quelle specie che presentano un altissima pressione radicale, queste in presenza di lesioni dimostrano il fenomeno del "pianto " ( travaso di linfa ), gli innesti in queste condizioni non si saldano adeguatamente.

Sui faggi, betulle, aceri conservati in vaso, occorre prima di operare l’innesto primaverile conservarli al fresco con ridotte annaffiature fino a che il "pianto" non cessi. Per i ginepri ed i rododendri, occorre intervenire con l'innestatura solo dopo che sono mantenuti ad una temperatura di 15° - 18° C. per almeno quattro settimane, dopo di che il soggetto è fisiologicamente attivo per saldare la marza.

Su portainnesti superattivi od inattivi, occorre praticare innesti laterali senza che la cima del portainnesti
sia rimossa, lo sarà ad innesto saldato. Nel caso in cui la pianta non è eccessivamente né
insufficientemente attiva, i migliori risultati si hanno rimuovendo la parte superiore del soggetto.

LE TECNICHE DI MOLTIPLICAZIONE.
Talvolta la tecnica d’innesto è talmente approssimativa e scadente che le regioni cambiali, delle parti da innestare, vengono a contatto per porzioni talmente esigue da essere insufficienti all'attecchimento. In altri casi anche se l'attecchimento si realizza, il ponte vascolare che si viene a formare sarà insufficiente a garantire la sopravvivenza del "gentile ". Altri errori tecnici sono la scarsa o tardiva paraffinatura, i tagli irregolari, l'uso di marze appassite.

INFEZIONI VIRALI, DA INSETTI, E CRITTOGAME.
Spesso le difficoltà d’attecchimento derivano dal fatto che il materiale scelto è affetto da virosi, da parassiti animali, che possono cibarsi del callo cicatriziale, l'uso d’attrezzi sporchi può poi essere la causa infettante delle incisioni d'innesto da parte delle crittogame. E' sempre consigliabile disinfettare gli attrezzi con prodotti specifici ed irrorare con anticrittogamici i punti d’incisione e le successive saldature. Spesso è consigliabile irrorare gli alberi da cui si prelevano le marze, e gli alberelli usati come portainnesti prima dell'operazione d’innesto con prodotti a base di rame.


Ricerca personalizzata



Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog:
CONTINUA A LEGGERE »

gennaio 15, 2009

Nutrire le piante in vaso

In condizioni normali le piante provvedono da sole al loro nutrimento.

L'acqua che i vegetali trovano nel terreno rappresenta l' 80 - 90% del loro peso. Il 9 -18% rimanente è composto dall'anidride carbonica e dall'ossigeno del atmosfera.

Dal punto di vista chimico invece tre elementi (carbonio, idrogeno ed ossigeno) rappresentano il 98 -99% del peso della pianta, (composizione ponderale) il restante 1-2% è costituito da altri 60 elementi.
Sebbene nei terreni normalmente utilizzati per i rinvasi vi sia una notevole riserva di questi elementi la loro disponibilità in forma utilizzabile da parte delle piante, può avvenire solo in particolari condizioni e qualche volta con velocità troppo bassa rispetto alle esigenze della pianta.

Nel periodo di maggior sviluppo vegetativo, occorrerà quindi intervenire ad integrare il terreno con questi elementi in forma disponibile.

Le necessità alimentari non riguardano gli elementi ricuperabili direttamente dall'atmosfera (carbonio, idrogeno ed ossigeno) e neppure la maggior parte degli altri elementi.

Allo stato, attuale delle conoscenze solo 10 di questi sembrano necessari ad un corretto sviluppo
vegetativo, inoltre di quelli di cui si conosce la funzione solo tre (azoto, fosforo e potassio ) sono
assimilati in quantità apprezzabili, il che determina la necessità che la loro somministrazione sia
frequente.

Le piante si alimentano attraverso i peli radicali, con cui assorbono le sostanze nutrienti presenti nel terreno e sciolte nell'acqua. La capacità di assorbire sostanze nutritizie non è localizzata unicamente nelle radici; anche le foglie sono in grado di svolgere la stessa funzione, con tempi di reazione veramente minimi, poiché i fertilizzanti assorbiti da esse vengono a trovarsi direttamente nella zona in cui maggiore è la loro utilizzazione. Per quanto questo metodo possa difficilmente sostituire i tradizionali sistemi di concimazione del terreno, esso offre tuttavia notevoli vantaggi.
Affinché la nutrizione sia buona, le piante devono essere sane, con apparato radicale ben sviluppato, vanno coltivate in terreni adeguatamente drenati ed ossigenati.
L'ASSORBIMENTO.
Questo fenomeno avviene con produzione d’energia da parte delle radici, questa si sviluppa dalla
combustione degli zuccheri e degli amidi, inviati alle cellule radicali, e dall'ossigeno atmosferico: ne consegue che il terreno deve essere sempre ben aerato se si vuole che la pianta assorba efficacemente le soluzioni nutritive del terreno.

Ognuno degli elementi necessari alla nutrizione ha una sua specifica funzione, in particolare, l'azoto, il fosforo, il potassio, lo zolfo, il calcio, e il magnesio che d'ora innanzi citeremo come macro elementi.

L'AZOTO - regola la crescita delle foglie, ritarda la maturazione dei frutti. E' indispensabile per la
formazione delle sostanze proteiche, non può essere assimilato dalle piante se non nella forma ionizzata dei nitrati. ( solo alcuni batteri particolari che vivono sulle radici di alcune leguminose, dove formano caratteristici tubercoli, possono utilizzare direttamente quello atmosferico). La sua carenza provoca dapprima clorosi e se, perdura può far sopraggiungere la necrosi delle foglie.

IL FOSFORO - regola la crescita delle radici, l'indurimento della li gnina (xilema giovane), anticipa la maturazione dei frutti. E’ utilizzato dalle piante per costituire le sostanze nucleo proteiche delle cellule e di molti sistemi enzimatici fondamentali. Esso è utile solo nella forma solubile, ma, pur essendo spesso abbondante, incontra nel suolo elementi, quali il calcio o il ferro o il manganese, che lo fanno precipitare rendendolo insolubile, quindi indisponibile, La sua mancanza non è facilmente avvertibile, in pratica i sintomi non sono molto evidenti: - apparato radicale esiguo, foglie rossastre.

IL POTASSIO - regola la produzione dei fiori e dei frutti, la produzione di lignina. Gioca un ruolo
molto importante nella funzione clorofilliana, pur non essendo un costituente della sua molecola; è essenziale durante i processi di sintesi del trasporto dell’amido. E' forse l'unico elemento che non dà fenomeni tossici per eccesso; tutte le piante manifestano notevoli vantaggi ad una sua
somministrazione. La sua carenza si manifesta con una riduzione della crescita, con macchie clorotiche sulle foglie, arricciatura del bordo fogliare, con frutti a maturazione irregolare.

LO ZOLFO - si trova nella struttura di alcuni aminoacidi, costituenti la base delle proteine. Esso è accumulato nel terreno dall'acqua piovana per dilav amento dei solfuri contenuti nel medesimo; è assorbito in forma di solfato, ma si riduce facilmente in solfito, forma molto tossica per tutti gli
organismi.

Genius    First_468x60.gif

IL CALCIO - le piante lo utilizzano per formare pectato di calcio, che è presente nelle pareti cellulari a cui da consistenza; salifica l'acido ossalico, ( estremamente tossico per le piante ), in ossalato di calcio insolubile e quindi inerte per i tessuti. E' inoltre importantissimo per la costituzione dei terreni, poiché le piante possono presentare od una grand’affinità od una totale insofferenza ad esso.

IL MAGNESIO - E' importante soprattutto per la sua presenza nella molecola della clorofilla e come tale nel processo fotosintetico. Il magnesio facilita anche l'assimilazione del fosforo; la sua carenza è manifestata da un evidente clorosi che inizia a livello delle nervature fogliari per poi estendersi a tutta la lamina con conseguente caduta precoce della foglia.

Esistono poi tra i macro elementi: il carbonio, l'ossigeno, l'idrogeno. I primi due provengono
dall’anidride carbonica dell'aria, il terzo dall’acqua essi sono i principali costituenti degli idrati di
carbonio quindi i protagonisti del processo di fotosintesi.

Oltre quelli sopra descritti, le piante necessitano di quantità estremamente piccole di altri elementi che chiameremo microelementi. Tra i più importanti si possono elencare i seguenti: il ferro, il manganese, il rame, lo zinco, il boro, il molibdeno, il cloro, il cobalto, va però detto che non tutti quelli citati sono strettamente indispensabili ai vari organismi. Inoltre l'eccesso di questi nel terreno è altrettanto nocivo della loro assenza totale.

La scarsità di micro-elementi si riflette su diversi meccanismi fisiologici in particolare sul processo fotosintetico, per questo il primo sintomo che la pianta presenta è quello dell'ingiallimento delle foglie.

Va inoltre precisato che l'eccesso di queste sostanze può presentare i sintomi della mancanza di altri microelementi. Quelli di cui si conosce la funzione sono:

IL FERRO - è importante per la costituzione della clorofilla: anche se non entra a far parte della sua struttura molecolare ( infatti, l'unico costituente minerale di questa è il magnesio), il ferro però ne catalizza i processi di sintesi. E' inoltre necessario nei processi respiratori. La sua scarsità provoca una forte clorosi delle foglie e la morte dei germogli. Esso è particolarmente utile ai fruttiferi, poiché se viene a mancare, la colorazione dei frutti rimane sbiadita.

IL MANGANESE - interviene nella respirazione, nella sintesi proteica, è un catalizzatore dei processi fotosintetici, la sua mancanza provoca la comparsa di chiazze bianche o giallastre sulle foglie, più evidente verso l'estremità dei rami, vale a dire nei germogli apicali. Questa clorosi comincia a formarsi dal margine della foglia verso l'interno, delineando una zona chiara a forma di "V" tra le nervature. La ca renza di manganese si verifica di solito in terreni alcalini, si corregge usando soluzioni fogliari.

IL BORO - le piante a crescita rapida coltivate in terreni sabbiosi o molto alcalini, ( pH superiore a 6 ), soffrono spesso di questa carenza, in queste piante le zone meristematiche, (destinate alla crescita dei rametti e delle radici ), muoiono, mentre i tessuti subiscono delle deformazioni e delle necrosi. Il fenomeno è più evidente nelle piante da esterno quando sono esposte ad inverni piovosi a cui seguono estati molto calde. Si può prevenire la carenza di questo elemento spargendo 1,5 gr. per vasi di 100 cm. 2 di sup. in presenza di terricci sabbiosi, la dose va triplicata se la terra è argillosa.

http://img.etoiledirect.com/it/sky8/giochi/300x250.jpg

IL RAME - i terricci ricchi di torba fresca e quelli molto vecchi e dilavati ingenerano carenze di rame.

La sua mancanza rallenta lo sviluppo delle zone vegetative quando la mancanza si protrae, queste possono morire. Le foglie possono assumere colorazione verde bluastro cupa, o clorosi. I danni da ca renza si curano con il solfato di rame sparso in ragione di gr. 0,15 per vasi di 100 cm.2 di sup., nei terreni torbosi la dose deve esse re aumentata in ragione di 8 volte.

IL MOLIBDENO - è di fondamentale importanza nei processi di riduzione dei nitrati; senza di esso le leguminose non possono fissare l'azoto. Poiché la sua solubilità, nel terreno, è favorita dalla presenza di calcio, è buona norma integrarne la somministrazione con calce agricola.

LO ZINCO - elemento molto esiguo; in sua mancanza l'inibizione allo sviluppo è notevole, i rami
presentano internodi ridotti, le foglie sono piccole e strette, molto fitte a causa della riduzione
internodale, spesso assumono l'aspetto di rosetta, sono clorotiche e cadono prematuramente. Si curano le carenze accertate con la somministrazione di solfato di zinco in ragione di 0,3 gr. per vasi di 100 cm. 2 di sup.

La presenza di quantità molto elevate di questi o d’altri metalli nei terricci può danneggiare od uccidere i bonsai. Va poi considerato, che un terriccio acido tende a fissare il manganese, ed un suo eccesso, come si può avere nei composti di terra di brughiera o di sottobosco, prov oca fenomeni fitotossici poiché danneggia i delicati tessuti degli apici radicali. Alcuni elementi metallici interagiscono con altri già presenti nel terriccio, limitandone in tal modo la loro disponibilità per le piante.

Ad esempio un’eccessiva concimazione a base di fosfati può simulare una mancanza di ferro e di zinco ( rallentamento dello sviluppo ); un uso troppo ripetuto di soluzioni a base di cloruro di potassio può avere come conseguenza un accumulo di cloro nel terreno i cui sintomi fitotossici possono essere confusi con quelli ca usati dalla mancanza del potassio stesso, infatti, i margini delle foglie a causa dell'eccesso di questo elemento si macchiano di marrone. L'eccesso di manganese invece può causare un’apparente mancanza di ferro.

A volte fattori estranei all'alimentazione possono dare sintomi da carenza di elementi nutrizionali, oppure avvantaggiare il bonsai compromesso: il clima freddo umido, può portare miglioramenti in situazioni di grave sofferenza, rallentando i processi metabolici della pianta, mentre un drenaggio inadeguato del vaso, può simulare una carenza di azoto; ed ancora i caratteristici danni prodotti dal vento freddo sono simili a quelli presentati dalla carenza di potassio.

Quando i sintomi di carenze alimentari divengono evidenti la pianta sta già soffrendo da qualche tempo e la situazione qualche volta è definitivamente compromessa al punto di rendere inutile qualsiasi intervento compreso l'uso dei fertilizzanti. Per questo motivo potremo dire con una frase fatta, che è meglio prevenire che curare, ciò significa attuare tutte quelle misure dettate dall'esperienza durante tutto il periodo di vita del nostro bonsai.

Quando si notano i primi sintomi di denutrizione, ci si deve regolare nel seguente modo: da prima occorre diagnosticare la natura della sostanza carente, success ivamente valutare la gravità dell'inconveniente, infine determinare la natura e la quantità del fertilizzante più adatto.

Per realizzare quanto sopra, la via più sicura seppure costosa, consiste nel far eseguire una completa analisi chimica e biologica del terreno usato per i rinvasi, oppure l'analisi istologica dei tessuti fogliari, anche se spesso è più semplice ed efficiente l'assistenza di un esperto. Una
volta che ci si sia fatta un'opinione ben precisa sulla natura della carenza si può intervenire nel modo migliore.

http://hst.tradedoubler.com/file/77621/banner1-468x60cIT.gif

Nei casi di carenza protratta un intervento molto efficace è la nutrizione fogliare essa si attua
nebulizzando una data soluzione nutritizia sulle foglie del bonsai; se la diagnosi risulta esatta e la terapia indovinata, si noteranno in poco tempo dei sensibili miglioramenti ed il trattamento potrà essere ripetuto ogni due settimane fino a completa guarigione.

Ultimi post pubblicati



Mare    d'Inverno

Genius    First_468x60.gif


RSTP (Raccomandati Se Ti Piacciono)

AsteClick -    Canon ixus960




CONTINUA A LEGGERE »

Fertlizzazione del Bonsai

La concimazione del bonsai deve tenere conto d’alcuni aspetti importanti legati alla vita della pianta, questi possono essere così classificati:
A) - Periodo di vegetazione delle varie specie; il periodo è determinato in linea di massima dalle fasce climatiche, queste circoscrivono le zone della superficie terrestre caratterizzate da uniformi condizioni della temperatura e delle precipitazioni nell'arco dell'anno solare.

Le fasce climatiche, da cui provengono la quasi totalità delle specie usate per la costruzione dei bonsai, sono essenzialmente due:
a) le fasce temperate in cui esistono quattro stagioni ben distinte tra loro;
b) le fasce tropico- equatoriale in cui esistono due estesi periodi, uno arido e l'altro piovoso, chiamato "stagione delle piogge".
Nella zona temperata le piante vegetano nel periodo marzo- ottobre; il legno di queste piante presenta zonature annuali di accrescimento che evidenziano l'accrescimento estivo e l'accrescimento autunnale-primaverile, (non esiste una separazione tra la crescita autunnale e quella primaverile poiché quella invernale, a causa della stasi vegetativa, è inesistente ).

Nella zona tropico- equatoriale non esiste separazione tra il legno prodotto nella stagione secca e quello della stagione umida, le eventuali zonature sono determinate da fattori che non necessariamente sono legati al tempo di sviluppo dell'albero.

B) - Limiti di temperatura. Gli alberi hanno limiti di vegetabilità che sono compresi tra temperature ben definite non solo per le singole specie, ma per l'intero regno vegeta le. Il limite inferiore si situa nell'intorno dei 5/7°C., quello superiore si situa sopra i 35°C., all'esterno di quest’intervallo l'albero entra nella stasi vegetativa.

C) - Periodo di rinvaso. In questa fase il bonsai non necessita di concimi, ma di sostanze integratrici del terriccio di rinvaso. Ogni sostanza alimentare fornita al terreno di rinvaso deve avere un meccanismo di cessione che si attivi non prima di 15gg. dal trapianto.

D) - Stati di carenza nutrizionali, che sono spesso determinati da terreni vecchi ed impoveriti dei sali
solubili per le frequenti annaffiature.

E) - Periodo di fioritura.
I CONCIMI ED IL LORO USO.
La pratica della concimazione o la fertilizzazione del terreno, applicata fin dai tempi, antichissimi, si basa sul principio, anzi sulla necessità di restituire al suolo di cultura quelli elementi che sono stati asportati dalle piante durante la loro attività vitale.

Le tecniche di concimazione dei bonsai non si limitano a ripristinare i livelli d’elementi fertilizzanti, giacché con la concimazione si cerca di dare al substrato di cultura più di quanto avesse in origine, per esaltare al massimo l'accrescimento dei nostri alberi.
Innanzi tutto bisogna fornire al terreno i macro elementi in altre parole: l'azoto, il fosforo, il potassio, il magnesio, il calcio, in seguito, secondo le necessità, si forniranno i microelementi.

Mentre sono rare le deficienze di ferro e magnesio, è invece frequente la mancanza d’azoto, fosforo, potassio, che sono consumati in notevoli quantità ed a volte occorre, per le specie che lo sopportano, integrare anche il calcio.

Le concimazioni dei bonsai devono poi tenere conto del grado di formazione della pianta, infatti, un bonsai giovane in fase di formazione ha necessità di fertilizzazioni maggiori, di quanto non n’abbia un vecchio in fase di mantenimento.

I prodotti che si aggiungono al suolo si distinguono in "ammendanti", (es. leonardite), che servono a migliorare le qualità fisico-meccaniche del terreno; "correttivi " che ne correggono la reazione chimica (es. acidificanti od alcalinizzanti) ed i "concimi" che arrecano al terreno gli elementi di fertilità necessari.

I concimi si dividono a loro volta in:
semplici, contengono un solo elemento di fertilità;
composti, sono la somma di due o più concimi semplici;
complessi, nei quali gli elementi di fertilità sono legati tra loro a livello chimico.
I diversi concimi hanno poi reazioni chimiche differenti: alcuni sono neutri, altri acidi ed altri ancora alcalini.

Genius    First_468x60.gif

Tra i concimi a reazione neutra più usati sono: il solfato ammonico ed il solfato di potassio.
Tra quelli a reazione acida: il perfosfato minerale.
Tra quelli a reazione alcalina: le scorie Thomas.

Nella pratica si usano, per terreni tendenzialmente acidi concimi alcalini.
I concimi possono poi ancora essere classificati come chimici (ottenuti per sintesi) e organici (prodotti da decomposizione di sostanze viventi).Questi ultimi sono molto importanti, per la carica di micro elementi che contengono, oltre agli acidi fulvici ed alla micro flora batterica (prodotti integratori del terreno).

I più importanti concimi organici sono:
- il guano prodotto dall'accumularsi millenario, in determinati luoghi, delle deiezioni d’uccelli marini;
- il letame prodotto della deiezione d’animali domestici assommato alle loro lettiere. Nonostante le sue ottime qualità e la sua notevole efficacia miglioratrice delle proprietà del terreno, il letame è raramente impiegato nella pratica bonsaistica, perché il suo impiego può essere fastidioso soprattutto per le piante da interno, può essere sostituito da sali ammoniacali come il solfato ammonico, che è assorbito intensamente dal terreno, essendo sottratto all'azione dilavante dell'acqua; esso ha inoltre un’azione fertilizza nte lenta e durevole.

Altri concimi azotati organici sono il sangue secco, la cornunghia, i composti organici, le farine: di pesce, di semi di cotone, d’ossa, che mescolate tra loro costituiscono i " kolan nipponici", tutti questi concimi cedono i componenti più o meno lentamente.

Sono poi da considerarsi concimi minerali d’origine organica le ceneri di legna e di foglie.
Tra i concimi apportatori di fosforo vanno citati: gli ortofosfati intensamente assorbiti dal terreno
quindi facilmente assimilati dai vegetali; i pirofosfati che si convertono rapidamente in ortofosfati,
I fosfati insolubili , più lenti ma interamente utilizzati dai vegetali L'unico fosfato organico è il guano, contengono fosforo anche il sangue secco, i letami ed i prodotti di compostaggio.
Il potassio è fornito quasi esclusivamente sotto forma di solfato poiché questo risulta in assoluto il
meno fitotossico.
http://img.etoiledirect.com/it/sky8/giochi/300x250.jpg
Le concimazioni azotate organiche contenendo una notevole quantità d’enzimi, esaltano in maniera notevole la fertilità del substrato; aumentano il rigoglio vegetativo, posticipano le fasi vegetative e possono ritardare in modo notevole la lignificazione dei tessuti.

Un eccesso di concimazione azotata rende i bonsai maggiormente soggetti ai danni da freddo e da
attacchi parassitari.

Le concimazioni fosfatiche accorciano il ciclo vegetativo poiché mentre da un lato ritardano lievemente la ripresa primaverile, dall'altro anticipano la maturazione, sottraendo le nostre piante, ai pericoli rispettivamente dei geli tardivi e delle siccità estive. Al contrario dell'azoto il fosforo accelera la lignificazione dei tessuti con tutti i relativi vantaggi.

Le concimazioni potassiche, infine, hanno effetti buoni sull'intero metabolismo vegetale.

Nei terreni acidi i correttivi di più largo impiego sono la calce agricola, detta anche di defecazione, le marne, le argille calcaree, le dolomiti.

Nei suoli, a reazione alcalina invece s’impiega essenzialmente il gesso agrario finemente macinato o lo zolfo in polvere.

I concimi chimici maggiormente usati sono quelli granulari. Alcuni prodotti sono poi commerciati in forma liquida, questi sono usati come concimi fogliari.

NUTRIZIONE FOGLIARE
Con il termine di nutrizione fogliare s’intende la somministrazione di sostanze nutritive alla parte aerea della pianta; questa si realizza mediante nebulizzazione di una soluzione acquosa delle sostanze nutritizie.

Questo tipo di somministrazione è relativamente semplice, molto utile quando si debba ovviare, ai danni creati da carenze o malattie, tuttavia questa tecnica richiede una notevole esperienza e molte precauzioni, poiché un’eccessiva somministrazione crea danni più o meno seri alle foglie, fino al punto di causare la completa defogliazione della pianta trattata.

Per raggiungere mediante questa pratica i risultati auspicati occorre ricorrere a somministrazioni frequenti ma a bassa concentrazione d’elementi fertilizzanti (soluzioni a forte diluizione), le piante da trattare devono avere un apparato fogliare sufficientemente folto da catturare la quasi totalità della soluzione nutritiva, occorre inoltre avere l'avvertenza di aggiungere sempre alla soluzione fogliare un "bagnante", (tensioattivo) che ne garantisca una totale distribuzione ed aderenza all'apparato fogliare.

La nutrizione fogliare non sostituisce il tradizionale sistema di concimazione, ma lo integra utilmente nei seguenti casi:
1) - per dare un rapido incremento alla crescita, quando questa sia arrestata: da un eccessivo
dilav amento del terreno, da danni causati da nottate troppo fredde, da venti freddi o da gelate;
2) - per fornire, in modo rapido, sostanze nutrienti quando le radici non siano più in grado di assorbire sufficiente quantità di nutrimento dal terreno a causa di: prolungata carenza idrica, temperatura troppo bassa, od infine se, per qualunque altra causa, il sistema radicale ha riportato dei danni troppo estesi;
3) - per ovviare alla mancanza di un particolare elemento nutritivo, che, se somministrato al terreno, potrebbe essere trasformato in forma non adatta all'assorbimento, cosa che accade ad esempio con il manganese;
4) - per fornire alla pianta un ulteriore nutrimento in aggiunta ai normali fertilizzanti del terreno, in situazioni vegetative tali che la richiesta, da parte della pianta, di sostanza nutritiva superi la capacità d’assorbimento della radice.


mail order brides


Ultimi post pubblicati


18/10 – Le strutture interne dell'albero

18/10 - Sistemazione

18/10 – Insetticidi, fungicidi e diserbanti

18/10 – Wabi e Sabi

18/10 – Criteri di coltivazione

18/10 – Studiare i Bonsai a Milano

09/08 – Azalea, bonsai del portamento elegante e dalla fioritura spettacolare

09/08 – In Giappone il “prunus mume” è considerato un grande portafortuna

09/08 – L'Acero tridente è un bonsai dalla forte “personalità”

09/08 – L'Acero palmato, uno degli alberi bonsai più belli

09/08 – Bonsai è l'arte di creare miniature di alberi

01/06 – Fisiologia vegetale: la struttura esterna dell'albero

01/06 – Prime notizie sulla natura di questa stupenda forma di arte orientale

18/02 - L'ispirazione


Mare    d'Inverno

Genius    First_468x60.gif


RSTP (Raccomandati Se Ti Piacciono)

AsteClick -    Canon ixus960

16/10 – World Images: Gargano Peninsula Puglia's Best Beach (Italy)

16/10 – La Cucina di Susana: All'ora dell'aperitivo

15/10 – La Cucina di Susana: Gelato al Cioccolato

14/10 – World Images: Eqi Glacier in Greenland

14/10 – La Cucina di Susana: Peperonata casereccia, un grande classico

13/10 – World Images: Rafal Rubi (Minorca), Spain

12/10 – Immagini d'Italia: Parco Nazionale dello Stelvio

06/10 – Immagini d'Italia: Parco Nazionale del Gargano

06/10 – Stamps of the World: History of Philately

30/08 – Il lago Titicaca, il più grande del Sudamerica



CONTINUA A LEGGERE »

Organi di Suzione e Traspirazione

Altri organi di fondamentale importanza per la pianta sono: la radice e la foglia, quest'ultima per metamorfosi può acquistare la funzione riproduttiva trasformandosi nel fiore, lo stadio intermedio di passaggio tra foglia normale e l’organo fiorale è rappresentato dalla "brattea".

La radice.
Così come il tronco ha simmetria assiale, l'asse radicale prolunga la direzione dell'asse pri ncipale o tronco.

I fasci conduttori hanno però una disposizione diversa dal tronco quindi la radice risulta strutturata in due zone: la corteccia ed il cilindro centrale.
La corteccia : è un tessuto primario, privo di stomi le cui cellule esterne si prolungano nei peli
assorbenti, che si degenera presto sostituito da un rivestimento secondario suberificato negli strati del quale esistono piccole cellule rivestite di una sottile cuticola che permette l'assorbimento dell'acqua, la corteccia profonda ( endoderma )costituisce la zona di separazione con il cilindro centrale.

Il cilindro centrale: contiene il parenchima fondamentale il cui stra to esterno è detto "periciclo"
costituito da una sola fila di cellule a funzione meristematica secondaria produttrice di sughero, radici o gemme laterali. All'interno del cilindro esistono oltre le funzioni conduttrici anche quelle meccaniche d’ancoraggio e di sostegno, la struttura secondaria della radice è simile a quella del fusto con il quale si raccorda.

La foglia.
Le foglie sono espansioni laterali del fusto, si sviluppano dalle bozze fogliari ancora indifferenziate e visibili sul cono vegetativo. Nel caso più tipico la foglia comprende: la guaina, il picciolo, il lembo, gli organi respiratori e traspiratori. Essa è il luogo dove si compie la massima parte dell'azione clorofilliana con cui si trasforma l'energia luminosa in chimica

FISIOLOGIA DELL'ALBERO
Accenni di fisiologia vegetale
La fisiologia vegetale studia le leggi fisiche e chimiche, i processi vitali sia delle piante sia delle cellule che le costituiscono.

A grandi linee la fisiologia può compendiarsi in alcuni cicli che studiano le funzioni del metabolismo, della fotosintesi, della sintesi dei prodotti azotati organici, dell'economia idrica, dell'accrescimento, dello sviluppo e della riproduzione.

Il metabolismo. Le manifestazioni vitali si basano su una serie complessa di processi fisico - chimici, le trasformazioni a doppio senso, che avvengono, sono determinate dalle variazioni delle condizioni energetiche del sistema in cui queste si attuano.
russian women
Tali processi si realizzano attraverso due serie di reazioni reversibili:
LE EXERGONICHE dove le molecole ad alto potenziale scendono ad un livello energetico inferiore emettendo "energia libera " utilizzabile.

LE ENDERGONICHE dove le molecole a basso potenziale utilizzano "l'energia libera" per
produrre una nuova molecola ad alto potenziale.

La fotosintesi. E' il processo biologico qualitativamente e quantitativamente fra i più importanti in natura. In questo processo le piante autotrofe assimilano l'anidride carbonica fissando l'energia solare attraverso la clorofilla. Tutte le molecole organiche vegetali provengono dall'assimilazione della C O2 a causa della luce.

Questo processo di trasformazione degli ossidi di carbonio ( anidride carbonica ), e di idrogeno (acqua) poveri di energia, in idrati di carbonio ( carboidrati ) ricchi di energia, sembra semplice osservando l'equazione:
6CO2+6H2O +hv ÆC6H12O6+ 6O2
ma, in pratica, il trasferimento di energia e la catalisi enzimatica sono di estrema complessità tant'è che non sono ancora completamente risolti. La fotosintesi si estrinseca in tre reazioni parziali:
1) la foto fosforilazione ciclica;
2) la fotolisi del acqua;
3) la fissazione e la riduzione della CO 2

Il rendimento della fotosintesi è dell'ordine dell'1-2%. Si calcola che su 100 calorie fornite sotto forma di luce, 20 sono riflesse dalle foglie, 10 le attraversano, 20 sono trasformate in calorie, 48 - 49 servono alla termoregolazione (evaporazione dell’acqua per traspirazione) 1 - 2 calorie sono utilizzate dal processo biologico. La sostanza che permette la captazione dell’energia solare ed il suo utilizzo è un pigmento verde chiamato clorofilla. Questa è in grado di assorbire l'energia della luce solare ed usarla per convertire l'anidride carbonica in acqua e zuccheri. -

Reazione ENDERGONICA -.
Questi ultimi in seguito saranno usati come fonte d’energia da tutte le cellule della pianta,
(scomposizione in anidride carbonica ed acqua con liberazione energetica riutilizzabile per la
ricostruzione dei medesimi)- Reazione EXERGONICA -.

Genius    First_468x60.gif

LA FOTOSINTESI CLOROFILLIANA.
Funzioni legate alla fotosintesi clorofilliana.
In una pianta ogni sua parte è specializzata per una determinata funzione, le foglie sono adibite alla ela borazione delle sostanze nutritive, le radici all'assorbimento dell'acqua e dei sali, la riproduzione invece è un meccanismo che si realizza a livello delle strutture fiorali, se è sessuata, od a quello di organi quali bulbi, tuberi o rizomi se è asessuata o vegetativa.

La nutrizione, vale a dire l'assunzione di tutte le sostanze necessarie al ricambio (sostituzione dei
materiali di cui è costituita la materia vivente), avviene sia a livello dell'apparato radicale, da cui
penetrano acqua e sali minerali, sia a livello delle foglie che utilizzando l'anidride carbonica dell’aria producono la sintesi degli zuccheri. Le foglie poi hanno anche la capacità di assorbire sali minerali, in forma chelonata, attraverso la cuticola, sali che saranno immediatamente utilizzati.

Le reazioni di demolizione degli zuccheri, per produrre energia, possono avvenire solo alla presenza dell'ossigeno, esse costituiscono il fenomeno della respirazione cellulare che è comune a tutti gli organismi viventi. Tutte le cellule viventi devono, per sopravvivere, respirare, quindi la respirazione è una capacità caratteristica di tutte le cellule organiche.

Lo zucchero prodotto dalle foglie è distribuito alle varie parti del vegetale: esso scorre in uno specifico tessuto conduttore, il floema situato nelle nervature delle foglie; da esso è convogliato nel picciolo e da questo nel floema del fusto sino alla radice.

E' ovvio che nel percorso il flusso si dirama dove le necessità alimentari sono maggiori (fiori e frutti).Il legno è un tessuto conduttore per il trasporto d’acqua e sali disciolti assorbiti dalle radici, esso ha inoltre la più volte richiamata funzione meccanica d’irrigidimento del fusto e dei rami.

Il movimento dell’acqua all'interno dello xilema è ascendente, discendente nel floema; i fenomeni che determinano questo movimento sono vari e concomitanti, tra essi notevole è la traspirazione, con la quale la maggior parte dell'acqua assorbita è dispersa a livello delle parti aeree allo stato di vapore acqueo: l'acqua evapora dall'epidermide fogliare e si diffonde
all'esterno attraverso piccole strutture dette stomi situate prevalentemente sulla pagina inferiore delle foglie.

Queste strutture sono formate da una fessura delimitata da due cellule particolari dette cellule stomatiche, che con la loro attività funzionale ne regolano le dimensioni stesse e di conseguenza, la maggior o minor fuoriuscita d'acqua. La traspirazione è importante per due diversi motivi; prima di tutto agevola l'assorbimento radicale, poiché man mano che avviene l'evaporazione dell'acqua si esercita una forza di suzione (depressione della parte alta delle colonne capillari).

Secondo a livello del tessuto fogliare, la notevole quantità di vapore che si forma a spese di un grande assorbimento calorico fa sì che l’atmosfera tutt’intorno alla pianta non sia mai eccessivamente surriscaldata, (fenomeno di termore golazione).

L'osmosi.
Il processo per cui l'acqua penetra nelle radici è detto osmosi. La soluzione acquosa che imbibisce il terreno ha di solito una concentrazione molto inferiore a quella della soluzione interna delle cellule;
poiché l'acqua tende a diffondersi attraverso le membrane semi porose, passando dalla zona a più bassa concentrazione salina verso quelle dove la concentrazione è maggiore, (da soluzioni diluite a soluzioni concentrate) passerà dall'esterno all'interno della cuticola della radice.

Il fenomeno osmotico, consiste appunto nel passaggio d’acqua attraverso la membrana cellulare. Nel caso il contenuto di acqua nel terreno diminuisce a causa dell'eccessiva evaporazione, o delle scarse precipitazioni, la soluzione può raggiungere la stessa concentrazione del liquido cellulare, arrestando il processo osmotico; se la concentrazione esterna supera certi limiti il processo può addirittura avvenire in senso inverso, portando la pianta verso la disidratazione, infatti, in questa situazione anche se gli stomi sono chiusi la pianta perde acqua cessando di compiere i suoi processi vitali. Le piante sono poi in grado di selezionare l'assorbimento dei sali ionizzati dalle soluzioni presenti nel terreno (permeabilità selettiva delle membrane cellulari).
http://img.etoiledirect.com/it/sky8/giochi/300x250.jpg
I FITORMONI
L'accrescimento degli organi della pianta, sebbene dominato dalle disponibilità alimentari, è determinato dalla presenza di particolari cellule dette "meristematiche " capaci per tutta la vita della pianta di dividersi per dare origine a nuove cellule specializzate. La velocità di divisione delle cellule preposte all'accrescimento volumetrico ed a tutti i fenomeni connessi sono regolati da sostanze specifiche chia mati "fitormoni ".

Il primo ormone ad essere isolato, fu l'auxina. Attualmente se ne conoscono molte di tipo sintetico che costituiscono una famiglia con proprietà simili. In natura quest'ormone, è prodotto dagli apici vegetativi delle piante ed in piccola parte negli apici radicali esso è preposto alla crescita in altezza della pianta, all'inizio è fissato a molecole proteiche da cui si libera quando è necessario mediante reazioni enzimatiche.

Le auxine non sono gli unici ormoni vegetali esistenti in natura, infatti, sono stati isolati altri due gruppi di queste sostanze: le gibberelline e le kinetine.

Gli ormoni agiscono da stimolatori quando si trovano presenti nella soluzione fisiologica in dosi di poche parti per milione, mentre in dosi eccessive si comportano da inibitori.

LE AUXINE.:
Sono trasportate in basso nel fusto attrave rso un meccanismo indipendente dal sistema vascolare, determinano l'allungamento degli internodi (primordi fogliari degli apici ).

L'auxina regola anche l'accrescimento dei frutti e inibisce la crescita delle radici. Un accumulo di ormone nei germogli ne impedisce la crescita. E' proprio per questo motivo che le auxine rallentano, fino a fermarle, le gemme laterali degli apici mentre quell’apicale continua a crescere.

Questo meccanismo ha la spiegazione seguente:
Le gemme degli apici vegetativi producono l'ormone in quantità maggiore dello stretto necessario, l'eccesso è inviato verso il basso dove andrà ad incrementare quello prodotto dalla prima gemma incontrata nella discesa, questa gemma eliminerà solo parte dell'eccesso di ormone disponibile, per cui spostandoci verso il basso troveremo un sempre maggior accumulo di
auxina con una sempre maggior inibizione vegetativa sugli apici laterali.

Se però per un qualsiasi motivo l'apice è leso le gemme ascellari liberate dal controllo della gemma apicale riprendono a crescere dando origine a rami più o meno lunghi;
ben presto uno di questi rami, normalmente quello più vicino alla sommità, muta la sua posizione dirigendosi verso l'alto, sopravanzano gli altri nella crescita e occupando il posto della gemma lesa e ristabilendo il controllo sugli altri organi.

Le auxine stimolano inoltre la produzione d’apici avventizi in regioni molto ben determinate e ristrette del fusto e delle foglie.

Le auxine rizzogene sintetiche esistenti in commercio sono: l’acido indol/acetico, l'indol/butirrico, il naftal/acetico e il dicloro/fenossiacetico. Le auxine generano marciume in tutte le parti della pianta, per cui, occorre in concomitanza con il loro uso somministrare anticrittogamici specifici.
http://hst.tradedoubler.com/file/77621/banner1-468x60cIT.gif
LE GIBBERELLINE:
Hanno caratteristiche simili alle auxine, e come queste stimolano lo sviluppo equilibrato dei vegetali. (furono scoperte per la prima volta nella GIBBERELLA FUJIKUROI, ascomicete parassita del riso giapponese, attualmente sono prodotte industrialmente con il metodo delle culture, come avviene per la produzione degli antibiotici).

Le gibberelline sono preposte al risveglio dei semi, dei bulbi, dei tuberi, delle gemme dormienti; anticipano ed aumentano la fogliazione, la fioritura, la fruttificazione. La somministrazione a mutanti nani di gibberelline ripristina le normali dimensioni della specie. Nelle piante normali l'ormone altera il rapporto tra crescita degli internodi e sviluppo delle foglie adattandole alle condizioni stagionali. La sua somministrazione elimina la tendenza a sviluppare foglie a rosetta.

LE KINETINE:
Hanno effetti opposti alle auxine, contrastano l'inibizione sulle gemme laterali causate da queste, mentre promuovono nel callo delle talee la formazione di gemme laterali. La più forte di queste sostanze sintetiche è la 6-Furfurillamino - purina.

Gli ormoni vegetali regolano i tropismi delle piante. Il fototropismo, che rappresenta la tendenza dei germogli ad orientarsi verso la luce, n’ così influenzato: l'eccesso di luce sulle parti verdi dei rami disturba la sintesi dell'ormone (auxina) che è invece prodotto nelle zone in ombra dove stimola l'allungamento delle cellule; è quest’allungamento che determina l'orientarsi dei germogli verso la luce.

Anche la gravità agisce sull'irregolare distribuzione dell'ormone; si è detto, infatti, che questo si diffonde verso le zone inferiori dell'organismo producendo l'inibizione delle cellule basali dei fusticini e facendo sì che le parti apicali tendano verso l'alto. Un meccanismo simile ma inverso si ha nelle radici.

Altre innumerevoli funzioni sono controllate dai fitormoni, tra queste:, anche se parzialmente, la caduta delle foglie in autunno, lo sviluppo dei frutti nel periodo vegetativo, lo sviluppo dei fiori fecondati e non (partenocarpia), la germinabilità dei semi (dormine, inibitori della germinazione ). La fioritura è controllata da ormoni fiorigeni la cui produzione in molte piante è indotta dal fotoperiodo ed è secondo questa determinata esigenza che le piante sono classificate in: longidiurne, brevi diurne e neutre.

Per quanto riguarda la riproduzione tutte le piante superiori si riproducono in modo sessuato, molte di queste però si possono riprodurre per talea di parti della pianta, questo secondo meccanismo è detto moltiplicazione vegetativa o asessuata, ed è proprio in questa particolare situazione che gli ormoni intervengono con la loro funzione radicante.
http://hst.tradedoubler.com/file/57254/468x60_vendo.gif
LA RIPRODUZIONE SESSUATA
Si attua tramite gli ovuli profondamente modificati in seguito alla fecondazione (semi).
I semi rappresentano gli elementi produttori della pianta, poiché in essi è contenuto l'embrione; nella maggior parte dei casi questo è differenziato in una radichetta, in un minuscolo germoglio apicale ed in foglioline primordiali, possiede inoltre delle strutture particolari che si chiamano "cotiledoni" questi sono estremamente ricchi di alimenti di riserva.

Sono necessari per sostenere l'embrione nella sua prima fase di sviluppo, quando la radichetta non ha ancora raggiunto la sua funzionalità e non riesce quindi ad assorbire nutrimento dal terreno. La loro funzione cesserà quando dal terreno spunteranno le prime foglie in grado di realizzare la funzione clorofilliana e quindi sintetizzare zuccheri.

Il numero dei cotiledoni è costante nei gruppi botanici: sono molti nelle Gimnosperme, due nelle
Angiosperme dicotiledoni ed uno nelle Angiosperme monocotiledoni.

Dal punto di visto chimico alcuni semi contengono sostanze di riserva di tipo amilaceo, mentre altri contengono sostanze grasse ed oli.

Contemporaneamente all'evoluzione dell'embrione nell'ovulo, ed al deposito di sostanze alimentari, i tessuti esterni si trasformano nei tegumenti del seme, che, hanno funzione di protezione e difesa; infatti, questi tessuti sono più o meno induriti o lignificati, o provvisti d’aculei, od imbibiti di sostanze repellenti, resistenti agli agenti atmosferici ed a tutti gli attacchi esterni.

Il tegumento deve proteggere il seme per tutta la durata del periodo di quiescenza, (maturazione del frutto, liberazione del seme, intervallo di germinazione).

La germinazione si attua quando l'acqua promuove la reidratazione dei colloidi plasmatici delle cellule.

La pressione d’imbibizione rompe i tegumenti. In alcuni casi perché l'acqua giunga a contatto con i colloidi del seme occorre che i tegumenti siano rimossi da microrganismi, o dall'alternarsi di basse ed alte temperature, o dalla lisciviazione da parte dei carbonati delle sostanze inibitrici.

Il seme si predispone al periodo di latenza, che precede la sua germinazione, eliminando dai propri tessuti la maggior parte dell'acqua contenuta e quindi rallentando al massimo i processi respiratori.

Il periodo di quiescenza del seme è variabile da specie a specie; alcuni semi vanno messi a germinare subito dopo la raccolta, altri invece richiedono un periodo più o meno lungo d’attesa.
Il significato biologico di tale intervallo è di impedire che il seme germini in un periodo sfavorevole alla sopravvivenza della giovane pianticella. Spesso quest’inibizione è esclusivamente meccanica: i tegumenti molto resistenti sono resi friabili dal gelo e quindi l'embrione ha la forza di uscire solo dopo l'ibernazione del seme; oppure i semi sono imbibiti da sostanze inibitorie della germinazione che sono rimosse dalla dilavazione della pioggia, altri semi hanno bisogno dell'intervento della luce per germinare.

Questa tendenza germinativa determina la possibilità di dividere i semi in:

fotoblastici, la cui germinabilità è stimolata dalla luce rossa, mentre quell’ultravioletta ha effetto
inibitorio;
afotoblastica, la cui germinabilità è stimolata dalla luce ultravioletta, mentre quella rossa ha effetto inibitorio.

Su questi semi la gibberellina ha lo stesso effetto della luce rossa.
I semi che non risentono dell'intervento della luce si dicono indifferenti.
Esiste poi un gruppo di semi che al contrario sono fotofobici per questi la luce è un fattore inibitore, sono semi che germinano solo al buio.

Per certi semi, infine, il periodo di quiescenza è essenziale, perché non sempre il momento della
maturazione del frutto coincide col seme stesso; se ciò non avviene esso deve completare la
maturazione prima di poter germinare.

Anche la capacità germinativa del seme ha una durata variabile, questa dipende in buona parte dal tipo di sostanza di riserva e dalle condizioni di conservazione: i semi rivestiti da tegumenti cornei, hanno un brevissimo periodo di sopravvivenza e devono germinare quasi subito, quelli oleosi hanno più resistenza, sebbene siano facilmente soggetti ad alterazione chimica i semi più resistenti in assoluto sono quelli che contengono come sostanze di riserva gli amidi (amilacei) sostanze particolarmente stabili le quali mantengono la capacità germinativa per lunghissimo tempo.

mail order brides


Ultimi post pubblicati


18/10 – Le strutture interne dell'albero

18/10 - Sistemazione

18/10 – Insetticidi, fungicidi e diserbanti

18/10 – Wabi e Sabi

18/10 – Criteri di coltivazione

18/10 – Studiare i Bonsai a Milano

09/08 – Azalea, bonsai del portamento elegante e dalla fioritura spettacolare

09/08 – In Giappone il “prunus mume” è considerato un grande portafortuna

09/08 – L'Acero tridente è un bonsai dalla forte “personalità”

09/08 – L'Acero palmato, uno degli alberi bonsai più belli

09/08 – Bonsai è l'arte di creare miniature di alberi

01/06 – Fisiologia vegetale: la struttura esterna dell'albero

01/06 – Prime notizie sulla natura di questa stupenda forma di arte orientale

18/02 - L'ispirazione


Mare    d'Inverno

Genius    First_468x60.gif


RSTP (Raccomandati Se Ti Piacciono)

AsteClick -    Canon ixus960

16/10 – World Images: Gargano Peninsula Puglia's Best Beach (Italy)

16/10 – La Cucina di Susana: All'ora dell'aperitivo

15/10 – La Cucina di Susana: Gelato al Cioccolato

14/10 – World Images: Eqi Glacier in Greenland

14/10 – La Cucina di Susana: Peperonata casereccia, un grande classico

13/10 – World Images: Rafal Rubi (Minorca), Spain

12/10 – Immagini d'Italia: Parco Nazionale dello Stelvio

06/10 – Immagini d'Italia: Parco Nazionale del Gargano

06/10 – Stamps of the World: History of Philately

30/08 – Il lago Titicaca, il più grande del Sudamerica



CONTINUA A LEGGERE »

I miei preferiti su Instagram

Hobby Bonsai in Facebook

My Ping in TotalPing.com
Segnala Feed Aggregatore Blog Italiani Subscribe using FreeMyFeed follow us in feedly

Hobby Bonsai in Twitter

Hobby Bonsai in Pinterest

Copyright © Hobby Bonsai™

Blogger Templates By Templatezy & Copy Blogger Themes