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aprile 15, 2009

Come trattare le margotte delle conlfere e delle latifoglie In genere sulle piante decidue risponde meglio la margotta fatta con il metodo del­l'aspo

In genere sulle piante decidue risponde meglio la margotta fatta con il metodo del­l'asportazione di corteccia. Le conifere, al­l'opposto, radicano meglio con la tecnica che richiede di lasciare un piccolo ponti­cello di corteccia; oppure con quella della strozzatura tramite l'applicazione del torni-chetto.
Il ginepro costituisce una eccezione: quasi tutte le varietà di questa specie, infatti, radi­cano molto rapidamente con la tecnica del­l'asportazione.

L'intervallo di tempo tra la realizzazione della margotta e la comparsa delle radici varia a seconda del­la specie. Ci sono alcuni ginepri che producono radici in circa due settimane; i pini, d'altro canto, sono notoriamente mol­to più lenti.

I pini pentaphilla richiedono addirittura uno o due anni, per formare nuove radici adatte a sostenere adeguatamente la vi­ta del nuovo albero. Ai pini, quindi, si adatta meglio la tecnica del tornichetto, in quanto la rimozione della cor­teccia si rivela troppo drastica. Si può comunque usare una va­riante del metodo dell'asporta­zione della corteccia, lasciando alcuni ponticelli. Con le piante decidue si pos­sono fare delle margotte su tronchi e rami anche molto grandi.
Sono riuscito, ad esempio, a far radicare rami e tronchi di zel-cova di circa 10-12 cm di dia­metro: con i salici piangenti è possibile addirittura raggiun­gere uno spessore di 15-18 cm.

Il modo migliore per ottenere una margotta
Gì, attrezzi e il materiale necessario per fare margotte: un potatoio affilato per togliere la corteccia, una soluzione di vitamina B1 per stimolare la formazione di radici, dei legacci, dello sfagno e alcuni fogli di plastica trasparente.

II periodo migliore per fare margotte è la prima parte della stagione vegetativa, cioè la primavera, quando la linfa comincia a salire abbondante.
Un vantaggio dell'iniziare precocemente sta anche nel fatto che in questo modo da un singolo albero si possono trarre margotte fi­no all'inizio dell'autunno. Alcuni esperti propongono di avvolgere la palla di sfagno con plastica trasparente, so­vrapponendovi un secondo foglio di plastica nera.
Secondo la mia esperienza, però, la plastica scura non è necessaria, poiché lo spessore stesso dello sfagno esclude la maggior parte della luce dalla zona in cui devono nascere le radici.

Inoltre, usando la plastica trasparente, di­venta possibile vedere quando le radici si so­no formate e passano attraverso lo strato di sfagno: si può così sapere esattamente quan­do staccare il ramo dalla pianta madre. Il momento in cui il ramo viene separato dal resto dell'albero è decisivo per il successo della margotta. Infatti, se il ramo vie­ne tagliato troppo presto la mar­gotta non può sopravvivere. La margotta è pronta solo quando una quantità sufficien­te di radici ha riempito la palla di sfagno. Si può a quel punto vedere chiaramente una massa di nuove radici turgide e bian­castre. Quanto più queste sa­ranno abbondanti tanto mag­giore sarà la possibilità di suc­cesso. Il taglio per separare il ramo deve essere netto. Occorre una certa cautela nel manipolare la palla di sfagno quando è piena di radici: alcu­ni propongono di procedere al taglio a piccole porzioni e in operazioni successive, comunque non è necessario. Quando nella margotta si sono formate radici in buo­na quantità, la sua sopravvivenza è assicura­ta anche se si taglia tutto in una volta. A questo punto occorre sistemare il nuovo apparato radicale in un vaso piuttosto gran­de e coprirlo con torba pura. Ho notato che se viene usata la torba da so­la invece del terriccio o sabbia grossolana, le radici restano più integre e quindi la margotta ha migliori probabilità di sopravvi­vere.
Se invece viene usato terriccio pesante, op­pure sabbia o ghiaietta, il peso di questi ma-
teriali rischia di danneggiare le ancora fragi­li radici.
Se la chioma del nuovo alberetto è molto ricca di rami e di foglie occorrerà eliminar­ne una parte, al fine di ridurre la traspira­zione e dar tempo alla margotta di affran­carsi completamente.
È anche buona regola collocare il soggetto appena rinvasato in una bacinella d'acqua, in modo che possa assorbire tutta l'umidità che gli serve.
Può giovare l'aggiunta di vitamina Bl, ma non si deve fertilizzare, poiché in questa fa­se il concime potrebbe danneggiare le giovanissime radici. La cosa migliore sarebbe si­stemare le margotte appena rinvasate in un luogo umido, come una serra fredda, oppu­re in nebulizzazione.
Questo favorisce la formazione di ulteriori radici in breve tempo. Una margotta rinvasata in sfagno puro può riempire il vaso di radici in due o tre setti­mane.
Non si deve assolutamente collocare la mar­gotta appena fatta direttamente in un vaso bonsai; è meglio lasciarla per almeno un an­no in un grande vaso da coltivazione. In alternativa la si può coltivare, per un an-
no ancora, in una grande seminiera o addi­rittura nel terreno, affinchè le radici possa­no irrobustirsi; ciò permette poi la loro ma­nipolazione e il successivo rinvaso in un contenitore bonsai.
L'anno successivo si potrà cominciare a tra­sformare la margotta in un gradevole bon­sai: dopo il rinvaso si possono già educare e perfezionare i rami e la struttura in genere. Col tempo diventa praticamente impossibile dire se il bonsai è stato prodotto con una margotta o con un metodo più tradizionale, come il seme, la talea o l'innesto

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A proposito dell'autore: Fausto Baccino

Un bonsai non è semplicemente una pianta. È una filosofia, un simbolo d’armonica condivisione con la natura. È un essere vivente sul quale vanno riversate tante attenzioni. Alcuni ritengono che per curarne uno sia necessario essere sereni con se stessi, in armonia con la natura.

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