Ho una mia convinzione personale: cioè che lo spirito che anima l'Arte del suiseki non è imprescindibilmente condizionato alla “bella pietra", quella che potresti anche non riuscire a trovare in tutta una vita di ricerca, come dice Matsuura.
L'Arte del Suiseki per me si realizza in un complessivo risultato vincente: la presentazione cioè di una buona pietra in simbiosi col legno della sua base, posta poi nel giusto contesto.
La base è subordinata ad esaltare la pietra senza prevalere, ma DEVE essere in grado di dare dignità* e poesia ad ogni pietra che abbia una discreta potenzialità*; integrandola senza parere. Non fornendo alla protagonista (la pietra); un tema, un testo, parole; ma essendo determinante, pur rimanendo nella buca del suggeritore, solo apparentemente invisibile.Saltando evidente agli occhi quanto tempo ed applicazione ci voglia per realizzare un daiza, viene fuori assai frequentemente una domanda:"ma perché perdersi nella rifinitura dello scavo interno e della pancia del daiza, ché tanto non si vedono?"
Risposta: Mettere il vestito della festa su biancheria intima strappata? Attenersi all'apparenza oppure ricercare raffinatezza e rigore? Quale sgradevole sorpresa, per il giudice zelante che solleva la pietra per constatarne l'integrità*! Non è una questione di punteggio, ma di rispetto. ETICA: rispetto per l'oggetto amato: la pietra. Coerenza con te stesso, che dici di "fare Suiseki"
Il daiza è la mia mano:
L'interno dello scavo è il mio palmo che contiene: ben aderente alla pietra, senza ingannevoli trucchi (senza sgorbiate approssimative o stucco).
La schiena del daiza è il dorso della mia mano.
Non sai quanti piccoli accorgimenti costruttivi mi sono inventata per far apparire più sottile il daiza di una pietra difficile.
L'Arte del Suiseki per me si realizza in un complessivo risultato vincente: la presentazione cioè di una buona pietra in simbiosi col legno della sua base, posta poi nel giusto contesto.
La base è subordinata ad esaltare la pietra senza prevalere, ma DEVE essere in grado di dare dignità* e poesia ad ogni pietra che abbia una discreta potenzialità*; integrandola senza parere. Non fornendo alla protagonista (la pietra); un tema, un testo, parole; ma essendo determinante, pur rimanendo nella buca del suggeritore, solo apparentemente invisibile.Saltando evidente agli occhi quanto tempo ed applicazione ci voglia per realizzare un daiza, viene fuori assai frequentemente una domanda:"ma perché perdersi nella rifinitura dello scavo interno e della pancia del daiza, ché tanto non si vedono?"
Risposta: Mettere il vestito della festa su biancheria intima strappata? Attenersi all'apparenza oppure ricercare raffinatezza e rigore? Quale sgradevole sorpresa, per il giudice zelante che solleva la pietra per constatarne l'integrità*! Non è una questione di punteggio, ma di rispetto. ETICA: rispetto per l'oggetto amato: la pietra. Coerenza con te stesso, che dici di "fare Suiseki"
Il daiza è la mia mano:
L'interno dello scavo è il mio palmo che contiene: ben aderente alla pietra, senza ingannevoli trucchi (senza sgorbiate approssimative o stucco).
La schiena del daiza è il dorso della mia mano.
Non sai quanti piccoli accorgimenti costruttivi mi sono inventata per far apparire più sottile il daiza di una pietra difficile.
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